Iran-Israele, Trump detta i tempi della guerra: “Due settimane o colpiremo”
Il presidente Usa pone un ultimatum a Teheran mentre l’Europa tenta la via diplomatica. Netanyahu promette di distruggere il nucleare iraniano, l’Iran apre al dialogo ma solo se Israele si ferma
Donald Trump
Il dado è tratto. Mentre l’Europa si affanna a tessere la tela della diplomazia nei saloni ovattati di Ginevra, Donald Trump taglia corto dalla Casa Bianca: “Due settimane, poi decideremo se colpire l’Iran”. È il giorno 623 del conflitto mediorientale e la partita si gioca su tre tavoli diversi, con strategie opposte e obiettivi che sembrano inconciliabili.
L’ultimatum del presidente americano arriva come una doccia fredda sui tentativi europei di riportare Teheran al tavolo delle trattative. “L’Iran vuole parlare con noi, non con l’Europa” ha dichiarato Trump con il suo consueto pragmatismo tagliente, liquidando in una frase gli sforzi diplomatici del Vecchio Continente. “L’Europa non sarà in grado di aiutare in questa situazione”.
La mossa europea: ultima chance per la diplomazia
Ma a Ginevra non si arrendono. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha incontrato i rappresentanti di Germania, Francia, Regno Unito e l’Alto rappresentante Ue Kaja Kallas in quello che potrebbe essere l’ultimo tentativo di evitare un’escalation devastante. Sul tavolo, secondo fonti diplomatiche, l’Iran ha messo “possibili concessioni” sul programma nucleare, inclusi limiti all’arricchimento dell’uranio.
Trump non ci sta: “A volte bisogna usare la forza”
Ma Trump ha già archiviato la diplomazia. “L’Iran ha accumulato una quantità incredibile di materiale nucleare. Nel giro di settimane o mesi sarebbero in grado di avere un’arma nucleare” ha tuonato il presidente, smentendo persino la sua intelligence: “Chi dice che l’Iran non sta lavorando a un’arma nucleare sbaglia”.
La domanda che ossessiona il tycoon è sempre la stessa: “L’Iran è seduto su alcuni dei più grandi giacimenti di petrolio, a cosa serve l’energia nucleare?”. Una logica implacabile che non lascia spazio a interpretazioni: “Io sono sempre stato un uomo di pace, ma a volte bisogna usare la forza”.
Netanyahu: “Distruggeremo il nucleare iraniano”
Perfettamente allineato con Washington, Benjamin Netanyahu non ha dubbi: “Il nostro obiettivo è distruggere il programma nucleare iraniano e abbiamo la capacità di farlo”. Il premier israeliano, in visita all’Istituto Weizmann colpito dai raid iraniani, ha promesso una “campagna prolungata” per “eliminare una minaccia di tale portata”.
I numeri che circolano negli ambienti militari israeliani sono impressionanti: l’Iran disponeva di circa 2.500 missili balistici e si preparava a triplicarne il numero entro due anni. “La nostra azione iniziale ha colpito in profondità la leadership nemica e distrutto circa la metà dei lanciatori missilistici” ha rivendicato il capo di Stato maggiore Eyal Zamir.
Il dilemma della fortezza di Fordow
Ma c’è un problema tecnico che complica i piani: l’impianto nucleare di Fordow, il cuore del programma iraniano, è sepolto 80-90 metri sotto una montagna. “Israele ha una capacità molto limitata. Potrebbero penetrare per una piccola sezione, ma non possono andare davvero in profondità” ha ammesso lo stesso Trump. Solo la bomba bunker-buster GBU da 13 tonnellate americana potrebbe sfondare quella “fortezza”.
L’Iran: “Dialogo solo se Israele si ferma”
Dal canto suo, Teheran mantiene una posizione di apparente apertura mascherata da condizioni impossibili. “L’Iran è pronto a prendere nuovamente in considerazione la via della diplomazia” ha dichiarato Araghchi, “ma solo quando l’aggressione israeliana sarà fermata”. Una richiesta che suona come una provocazione, considerando che Trump ha esplicitamente detto: “È difficile chiedere di fermarsi a qualcuno che sta vincendo”.
Gaza: la conta dei morti non si ferma
Mentre la crisi nucleare tiene banco, la tragedia umanitaria continua a Gaza. Nelle ultime 24 ore sono morte oltre 80 persone per i raid israeliani, 35 delle quali mentre aspettavano gli aiuti umanitari. Numeri che testimoniano come il conflitto sia ormai su più fronti, con una popolazione civile sempre più schiacciata tra le bombe e la fame.