Proposta del Fondo di rilancio economico al Consiglio europeo

Proposta del Fondo di rilancio economico al Consiglio europeo
Angela Merkel e Emmanuel Macron
22 aprile 2020

Cominciano a emergere a Bruxelles le grandi linee, oltre ai punti ancora controversi, della proposta per un “Recovery Fund”, un Fondo per il rilancio economico dopo la crisi del Covid-19, che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, illustreranno alla videoconferenza dei capi di Stato e di governo dell’Ue, giovedì 23 aprile. Von der Leyen e Michel porteranno al Consiglio europeo solo le ipotesi di base, e non un testo articolato e completo, sul Fondo, su come strutturarlo, su come finanziarlo e su che “potenza di fuoco” dargli: proprio su questi punti, la Commissione vuol sondare i capi di Stato e di governo prima di mettere sul tavolo la sua proposta formale. Oltretutto, la creazione del Fondo è strettamente legata al negoziato sulla nuova proposta di bilancio pluriennale comunitario 2021-2027, rivista e corretta, che la Commissione presenterà il 29 aprile.

Proprio per questo è molto probabile che la videoconferenza dei capi di Stato e di governo di giovedì non produca un documento con le conclusioni e le decisioni dei Ventisette, ma solo una dichiarazione di Michel, in sostegno al lavoro della Commissione, in attesa di potersi pronunciare sulla proposta formale. L’idea di base è quella di finanziare il Fondo per la ripresa con obbligazioni di lungo termine emesse dalla Commissione sui mercati (con rating tripla A e quindi tassi d’interesse bassissimi), sulla base di garanzie che verrebbero fornite dal bilancio Ue. Il Fondo presterebbe poi agli Stati membri il denaro, raccolto con le euro obbligazioni, per finanziare gli investimenti per la ripresa; con un evidente vantaggio i paesi più fragili finanziariamente che non sarebbero sottoposti all’incubo dello spread. Riguardo alle dimensioni, l’attesa è che il Fondo valga almeno 1.000-1.500 miliardi di euro. Un elemento su cui si sta discutendo riguarda la quota del Fondo che potrebbe essere stanziata non per prestiti, ma per trasferimenti a fondo perduto (“grants”) agli Stati membri, e per quali tipi di investimenti, magari attraverso degli specifici programmi comunitari.

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Su questo punto è molto forte l’opposizione dei rigoristi dei paesi del Nord Europa, che sembrano avere ormai aperto al principio dell’emissione di obbligazioni europee con garanzie comuni (“borrow for lending”) ma non sono pronti ad accettare che i finanziamenti così mobilizzati siano spesi senza essere restituiti (“borrow to spend”). Un altro elemento è quello del cosiddetto “frontloading”, ovvero la possibilità di mettere a disposizione subito le garanzie necessarie – senza aspettare che entri in vigore il nuovo bilancio pluriennale – per far partire possibilmente già da giugno il Fondo per la ripresa. Per far questo, gli Stati membri anticiperebbero le garanzie necessarie nei primi mesi (praticamente il secondo semestre 2020), ciascuno con una propria quota. Il modello è quello del nuovo programma “Sure” per il sostegno ai meccanismi nazionali di cassa integrazione. Ma, al contrario di “Sure” (che disporrà di 25 miliardi di garanzie per emettere obbligazioni da 100 miliardi), con il Fondo per la ripresa le garanzie nazionali verranno sostituite dalle garanzie fornite dal bilancio Ue, quando entrerà in vigore nel 2021. Quanto dovrà essere aumentato il bilancio pluriennale Ue per poter fornire le garanzie al “Recovery Fund”?

L’ipotesi su cui si lavora, a quanto si apprende a Bruxelles, sarebbe quella di aumentare il tetto degli impegni del bilancio fino al 2% (rispetto all’attuale 1,2%) del Pil comunitario complessivo, lasciando il tetto di spesa al livello delle ultime proposte (poco più dell’1% del Pil) su cui ancora a febbraio non c’era stato accordo fra i Ventisette. La differenza fra tetto d’impegni e spesa reale (chiamata in inglese “headroom”) sarebbe così pari a poco meno dello 0,90% del Pil comunitario. Segnali favorevoli a questa soluzione sono già giunti dalla Germania, con dichiarazioni alla stampa della stessa cancelliera Angela Merkel. Quanto alle altre due proposte avanzate dalla Francia e dalla Spagna per il Fondo per la ripresa, è difficile che vengano prese in considerazione, anche se il Fondo di Rinascita francese ha avuto senza dubbio un valore tattico, come mezzo di pressione negoziale; ma la base delle discussioni sarà ovviamente la proposta della Commissione. Anche la risoluzione con cui, a larghissima maggioranza venerdì scorso, il Parlamento europeo si è pronunciato a favore dell’emissione di “Recovery Bond” per finanziare il Fondo per la ripresa, pur non entrando nei dettagli, è più che altro un appoggio preliminare all’iniziativa della Commissione.

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Quanto alla proposta spagnola, l’ultima arrivata, è la più originale e articolata, ma anche la meno realistica: prevede che il Fondo per la ripresa, quantificato in 1.500 miliardi di euro e gestito attraverso il bilancio Ue, sia finanziato con “obbligazioni perpetue”, ovvero senza data di scadenza (chi le acquista riceve solo gli interessi e non viene mai rimborsato del capitale). In più, la Spagna afferma in modo molto chiaro che tutti i finanziamenti del nuovo Fondo ai paesi più colpiti dalla crisi dovrà avvenire “sulla base di sovvenzioni”, ovvero con trasferimenti a fondo perduto, e non prestiti. E che anche gli interessi per le obbligazioni emesse dovrebbero essere pagati direttamente dal bilancio Ue, che dovrebbe a sua volta essere rafforzato facendo ricorso a nuove “risorse proprie” (basate su imposte comunitarie come ad esempio una “Carbon tax” alle frontiere). Non occorre molta immaginazione per capire che tipo di accoglienza questa proposta possa avere dai paesi rigoristi. Ma la proposta spagnola ha il merito di inserire nella discussione anche le ipotesi su ciò che si potrebbe fare se non ci fossero i veti e i tabù di olandesi, tedeschi, danesi, austriaci, svedesi e finlandesi. askanews

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