Morte di Anna Chiti sul catamarano: prime crepe nella versione ufficiale. La 17enne lavorava senza contratto

Indagini in corso sulla tragedia costata la vita alla studentessa del Nautico. Video, testimonianze e irregolarità al vaglio della Procura: si allarga l’inchiesta.

Potrebbe non essere stata una tragica fatalità, ma il risultato di una catena di leggerezze, omissioni e irregolarità. La morte di Anna Chiti, 17 anni, studentessa dell’Istituto Nautico di Venezia, avvenuta sabato pomeriggio nelle acque della darsena di Sant’Elena, assume ora i contorni di un caso più complesso.

Anna Chiti

La ragazza, secondo quanto emerso, svolgeva mansioni da marinaia a bordo di un catamarano turistico senza alcun contratto di lavoro.

Un dettaglio non marginale, che apre uno squarcio sulle condizioni in cui Anna si trovava a operare il giorno del suo primo incarico. La giovane era stata “presa in prova” dallo skipper dell’imbarcazione, su suggerimento di un’amica, senza alcun inquadramento formale. Una prassi pericolosa che potrebbe ora costituire un elemento chiave nell’inchiesta condotta dalla Capitaneria di Porto di Venezia, il cui rapporto dettagliato è atteso in Procura nelle prossime ore.

Un salto, una cima, poi la tragedia

Il racconto dei fatti, corroborato dalle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza della Marina di Sant’Elena, è agghiacciante. Anna, con una cima già in mano, si appresta a scendere sul pontile per facilitare l’ormeggio del catamarano. Ma qualcosa va storto: inciampa, cade in acqua. Riappare subito, tenta di risalire, ma la cima si aggancia all’elica ancora in movimento. Il motore è acceso: il cavo si tende, l’avvolge, la trascina giù.

Lo skipper si tuffa nel tentativo disperato di salvarla, senza successo. Solo l’arrivo, nel giro di pochi minuti, di una squadra dei vigili del fuoco, permette a un sommozzatore di raggiungere e liberare il corpo della giovane, rimasto intrappolato sotto allo scafo. I soccorritori del Suem tentano a lungo la rianimazione, ma Anna muore poco dopo. Una profonda ferita alla testa, compatibile con l’impatto contro l’elica, viene rilevata dai medici. La salma è ora a disposizione dell’autorità giudiziaria: l’autopsia è ritenuta probabile, sebbene non ancora formalizzata.

Nessun contratto, nessuna tutela

Il nodo cruciale dell’inchiesta ruota attorno alla posizione lavorativa di Anna. Nessuna assunzione, nessuna assicurazione, nessuna copertura. Solo una “prova” concordata verbalmente con lo skipper della barca, che opera per conto di una società privata. Un elemento che potrebbe avere pesanti ripercussioni penali e civili. L’attività investigativa si concentra ora anche sull’esame della documentazione societaria e sulle eventuali responsabilità della ditta armatrice.

“Voglio sapere perché mia figlia stava facendo quella manovra. Non doveva essere lì. Per una barca del genere servono professionisti, non studenti lasciati soli” ha detto Umberto Chiti, padre di Anna.

Le parole del genitore trovano conferma nei rilievi della Capitaneria: la manovra d’attracco era resa complicata dal vento di scirocco, stimato intorno ai 15 nodi. Lo stesso Stefano Costantini, titolare della Marina di Sant’Elena, conferma che il personale della darsena era disponibile a offrire supporto, ma non fu richiesto alcun aiuto dallo skipper, nonostante le condizioni meteo e la struttura dell’imbarcazione rendessero la manovra delicata.

Testimoni trattenuti, video sotto analisi

La Procura intende fare piena luce sulla dinamica. Oltre allo skipper, saranno ascoltati i membri dell’equipaggio e i turisti stranieri che si trovavano a bordo per una festa in costume. Alcuni di loro sono stati invitati a ritardare la partenza da Venezia per fornire testimonianze utili. Le immagini delle telecamere saranno analizzate fotogramma per fotogramma.

Non è ancora chiaro se sia stata Anna ad agire di propria iniziativa, raccogliendo la cima per aiutare nell’attracco, o se invece le sia stato chiesto espressamente di intervenire. Un dettaglio fondamentale, che potrebbe determinare il confine tra responsabilità soggettiva e dolo eventuale.

Una comunità sconvolta

Anna era originaria di Treviso, ma da anni viveva a Venezia per frequentare il Nautico. Alloggiava nel convitto dell’istituto. I compagni la descrivono come una ragazza solare, generosa, innamorata del mare. Il suo sogno era imbarcarsi come ufficiale di coperta al termine degli studi. Non su un catamarano turistico, ma su vere navi.

“Anna era brillante, altruista – ha detto Michelangelo Lamonica, presidente dell’Istituto Nautico -. Aiutava i compagni più in difficoltà con passione. Tutti noi siamo sotto shock. La comunità scolastica è devastata”. Domenica mattina un gruppo di studenti, accompagnati da alcuni docenti, ha lasciato sulla riva della darsena una cassettina con piantine di fiori. Un gesto di lutto e memoria nel luogo dove la vita di Anna si è spezzata.

L’inchiesta si allarga

Al momento non risultano indagati, ma la posizione dello skipper e della società armatrice è sotto osservazione. L’inchiesta potrebbe evolvere rapidamente. Le ipotesi di reato vanno dall’omicidio colposo alla violazione delle norme sul lavoro minorile, passando per l’omissione di misure di sicurezza.

Nel frattempo, la città si interroga. Chi doveva vigilare? Perché una minorenne era impegnata in operazioni potenzialmente pericolose? Come è possibile che, nel 2025, si possa ancora morire così, al primo giorno di lavoro? Il mare era il suo sogno. Lavorarci era il suo obiettivo. Ma nessun sogno dovrebbe costare la vita.