Province-bluff. Cambia solo nome, mancano decreti attuativi

10 luglio 2014

Le Province restano. Cambiano solo nome e vengono decostituzionalizzate. Ma restano. La “grande riforma” annunciata per decenni non si riesce proprio a fare. In tempo moderni l’ha proposta Berlusconi, poi Monti ha tagliato i trasferimenti; il governo Letta e l’allora ministro degli Affari regionali Graziani Delrio – oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Renzi premier – ha varato il riordino degli enti locali, una legge entrata in vigore l’8 aprile scorso. Ma ad oggi le Province esistono. Il governo, sinora, è riuscito solo nell’impresa di eliminare le elezioni, non gli enti.

L’abolizione delle Province è contenuta nel ddl costituzionale del ministro Maria Elena Boschi licenziato da Palazzo Chigi e ora al vaglio della commissione Affari Costituzionali del Senato. Il testo che prevede la trasformazione del Senato e la riforma del Titolo V della Costituzione approderà in Aula oggi e l’esame proseguirà da lunedì a giovedì prossimi. In effetti l’articolo 114 della nostra Legge fondamentale non nomina più le Province, che vengono cancellate dalla Carta. Lo Stato è così costituito da Comuni, Città Metropolitane e Regioni. Ma sul tema le grane non mancano. E in commissione Affari costituzionali è scoppiato il caso. Al suo rientro a Palazzo Madama, dopo l’infortunio riportato a una mano in seguito alla caduta per un malore a Milano, il senatore Roberto Calderoli (Lega Nord) ha annunciato il ritiro della firma da un emendamento, che porta il nome di entrambi i relatori (oltre al suo quello di Anna Finocchiaro).

Leggi anche:
L'impegnativo maggio russo, quando Putin succederà a Putin: nuovo mandato e vecchie preoccupazioni

Si tratta di una proposta, depositata martedì in commissione, che stabilisce, tra le norme transitorie al ddl Boschi, che “sulla base di decreti e requisiti generali definiti con legge dello Stato le regioni individuano gli ambiti territoriali degli enti di area vasta. Ulteriori funzioni amministrative possono essere conferite dalle regioni nell’ambito delle proprie competenze”. Traduciamo. Gli enti di area vasta – cioè le Province – restano, ma gli ambiti territoriali devono essere definiti dalle Regioni, così come le competenze amministrative. Sarà ad esempio il Lazio a definire il territorio di Viterbo o Rieti. Ma sempre di provincia trattasi, benché decostituzionalizzata. Cambia insomma solo il nome.

Tanto che proprio Calderoli commenta: “Fanno rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta. Vogliono cancellare le Provincie e poi istituiscono le aree vaste mettendole tra l’altro nelle norme transitorie”. Ma Calderoli, al suo rientro al Senato trova anche modo di scherzare. Da medico chirurgo, il senatore riferisce così la sua sorpresa quando i colleghi in camice bianco gli hanno formulato il referto: “Ha la frattura di Neymar”. “Strano, non la conoscevo”, la risposta di Calderoli. “Poi ho capito che si riferivano al fuoriclasse del Brasile”, scherza con i cronisti. Una battuta che non cancella il disappunto per l’emendamento sugli enti di area vasta, con l’annuncio del ritiro della firma. Tanto che prima della ripresa della seduta pomeridiana della commissione Affari costituzionali del Senato, viene convocata una riunione tra i relatori al ddl riforme, Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli e il ministro Maria Elena Boschi.

Leggi anche:
Europee, depositati 42 simboli: in sette col nome del leader

Al centro dell’incontro per fare il punto sugli emendamenti dopo il rientro a Roma del senatore del Carroccio, c’è anche il nodo sulle aree vaste. La questione-Province sarà portata anche all’attenzione del Consiglio dei ministri di oggi dal premier Renzi. Perché se è vero che la legge Delrio sul riordino degli enti locali è entrata in vigore ormai da tre mesi, è altrettanto vero che in novanta giorni il governo non è stato capace o non ha avuto il tempo o non ha voluto emanare i decreti attuativi. “Una questione molto seria. Ne parliamo in Cdm, così non va bene”, è il Renzi-pensiero. Senza i decreti attuativi, infatti, la legge Delrio non può essere applicata. Il nuovo ministro degli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta non è riuscita sinora a ricalibrare i poteri: scuola, trasporti, strade. I soldi non ci sono più da tempo, ma i dipendenti sì, così come le competenze. Le Province devono resistere e superare l’estate, ma nel frattempo muoiono di stenti. I dipendenti ci sono e a fine mese vanno pagati, ma da chi? Anche le competenze ci sono ancora, ma con quali soldi occuparsi di manutenzione scolastica o gestione delle strade?

Ritardi su ritardi nell’immobilismo del governo. Il progetto Delrio, che mirava ad ampliare lo spazio operativo e gestionale dei sindaci per garantire risparmi e meno burocrazia, resta così un sogno. Così come la diminuzione del numero degli amministratori, che per quanto riguarda tutti i Comuni con la legge entrata in vigore l’8 aprile non diminuisce, ma aumenta. Tutto fermo da tre mesi, l’unica riforma delle Province è il nome: aree vaste.

Leggi anche:
Ok Governo a regole su Ia: fino a 5 anni di carcere per chi froda

 

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it


Commenti