Sicilia nella top ten del manifatturiero. Montante, ridurre peso pubblico e avviare riforme strutturali

9 giugno 2014

L’export traina l’economia siciliana, facendo registrare la migliore performance del Mezzogiorno. In particolare, fatto 100 il valore delle esportazioni italiane, il 3 per cento proviene dall’Isola, con il valore più alto tra le regioni del Sud. Un dato in controtendenza, soprattutto se letto alla luce degli indicatori relativi a competitività e attrattività del territorio che vedono, invece, la regione in coda alla classifica. Il “check-up territorio – dossier Sicilia”, elaborato dall’Area Politiche territoriali, innovazione, education di Confindustria e presentato oggi in Confindustria Sicilia, conferma un sostanziale divario tra il Centro Nord e il Sud e mostra un’Isola ancora in apnea. Ma se è vero, ad esempio, che, secondo i dati estratti dall’ultimo censimento Istat, il 97 per cento delle imprese siciliane ha un numero di addetti inferiore a 10, è vero anche che, nonostante le piccole dimensioni “le aziende non sono rimaste con le mani in mano e, piuttosto che piangersi addosso, si sono attivate per cercare nuovi mercati”, commenta il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante. Che aggiunge: “A far registrare i numeri migliori non è infatti l’oil (il cui export è diminuito del 23%), ma gli altri comparti, dall’elettronica al farmaceutico, dai prodotti chimici all’agroalimentare, che hanno fatto registrare un incremento del 14 per cento. Pensate quindi che cosa sarebbe questa terra se fossero create le condizioni per competere se potessimo contare su politiche industriali che non ostacolino chi fa impresa, ma lo incentivino, così come accade nei paesi concorrenti. Le potenzialità sono immense”.

Ed è proprio il manifatturiero che fa entrare la Sicilia nella top ten italiana con 23 mila imprese attive (la prima è la Lombardia con 84 mila aziende); negativo invece è il dato sulla densità imprenditoriale (con circa 86 imprese ogni 1000 abitanti, la Sicilia si colloca in ultima posizione. Prima in classifica la Valle d’Aosta con quasi 150 imprese ogni 1000 abitanti). Se, però, si restringe l’analisi alle sole imprese manifatturiere, la classifica delle regioni cambia e la Sicilia guadagna qualche posizione. Gli indicatori dicono parecchio, poi, sulla competitività e sull’attrattività del territorio. In particolare, la prima voce racchiude il rapporto tra la produttività e il costo del lavoro; la redditività lorda; la propensione all’export e la propensione all’innovazione: unendo le quattro dimensioni in un unico indicatore la Sicilia crolla a terzultimo posto nella media italiana, seguita solo da Molise e Calabria. Sul podio, invece, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Non va meglio se si guarda il ranking regionale dell’attrattività: accorpando 12 macro categorie (istituzioni, stabilità macroeconomica, infrastrutture, sanità, scuola primaria e secondaria, università, efficienza del mercato del lavoro, sofisticazione del mercato finanziario, dimensioni del mercato, avanzamento tecnologico, complessità degli affari, innovazione), la Sicilia è al diciassettesimo posto, seguita da Calabria, Basilicata e Molise. Anche in questo caso ad aprire la classifica è la Lombardia, seguita da Lazio e Friuli Venezia Giulia.

Leggi anche:
Inflazione, Istat: a marzo il carrello della spesa frena, prezzi +3%

Scendendo più nel dettaglio e guardando il ranking provinciale, la forbice che separa l’Italia si fa più evidente: quasi tutte le province del Centro Nord, infatti, si trovano nella parte alta della classifica, mentre tutte le province del Sud, ad eccezione di Sassari, si posizionano nella parte bassa della classifica, che si chiude proprio con due siciliane, Ragusa ed Enna. Palermo è al sessantaduesimo posto, seguita da Siracusa (75^), Catania (79^), Caltanissetta (87^), Messina (93^), Agrigento (94^), Trapani (96^), Ragusa (102^) e Enna (103^).
Secondo Antonello Montante “occorre una terapia d’urto. È necessario intervenire con urgenza per realizzare alcune delle riforme strutturali, sul progressivo ridimensionamento della spesa corrente, tagliando gli incentivi improduttivi e riducendo il peso del pubblico sull’economia, rendendo efficiente la Pubblica amministrazione e riportando la pressione fiscale a livelli accettabili. Contemporaneamente è necessario porre grande attenzione alle Politiche di sviluppo, sia nel breve, sia nel lungo periodo. Solo così, infatti, sarà possibile ridurre la polarizzazione tra imprese competitive e imprese in difficoltà, contribuendo a riaprire i rubinetti del credito, favorendo gli investimenti, promuovendo l’occupazione e sostenendo l’internazionalizzazione. Ma anche immettendo nel circuito le risorse europee che potrebbero essere rapidamente trasformate, nel prossimo triennio, in investimenti pubblici e privati”.

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it


Commenti