Spie, massoneria e politici: i fratelli Occhionero chiedono di tornare liberi

Spie, massoneria e politici: i fratelli Occhionero chiedono di tornare liberi
30 gennaio 2017

Chiedono di tornare in libertà, respingono le accuse e ripetono che i virus dentro i loro computer ci sono arrivati e non vi sono nati. L’ingegnere nucleare con la passione del web e della finanza, Giulio Occhionero, e sua sorella Francesca Maria, finiti in carcere nelle scorse settimane, hanno fatto ricorso tramite i propri legali al tribunale del riesame di Roma per chiedere un annullamento della ordinanza di custodia cautelare applicata nei loro confronti. Od “in subordine” si sollecita la concessione degli arresti domiciliari. Secondo le accuse contestate dal pm Eugenio Albamonte e dal gip Maria Paola Tomaselli i fratelli Occhionero sarebbero al centro di una rete di cybercrime che grazie ad un ‘troyan’, computer dedicati e server all’estero, l’appartenenza di Giulio alla massoneria, avrebbero ‘spiato’ centinaia se non migliaia di persone. Famose e note come politici di primo piano, ma anche semplici avvocati, ex parlamentari, manager e dirigenti. Il sistema messo in piedi dall’ingegner Occhionero era capace di carpire le credenziali Apple Id dell`IPhone dell`ex premier Matteo Renzi.

LA DIFESA I difensori, gli avvocati Stefano Parretta e Roberto Bottacchiari, nell’istanza sottolineano che le prove sono poche e dicono il contrario rispetto a quello che ritengono gli inquirenti. Insomma c’è “un dato tecnico acquisito e incontrovertibile” e che indica come “la mail con l’allegato malevolo inviato lo scorso aprile all’Enav spa (e che ha dato il via agli accertamenti del Cnaip) non possa essere ricondotta in maniera certa a nessuno e tantomeno agli indagati”. Secondo gli avvocati Parretta e Bottacchiari sono 11 le eventuali accoppiate (username e password) di appartenenti ad Enti, “utili per compiere accesso agli account (che non vi è traccia che vi sia stato)”, mentre il resto, contenuto nell’ordinanza, appare essere “una mera elencazione di indirizzi di posta elettronica e/o di siti istituzionali di pubblico dominio, da tutti conoscibili con una ricerca sulla rete internet”. Per il pm Albamonte dall’analisi dei file contenuti nel database si è scoperto che sono 1935 le credenziali utilizzate dagli Occhionero per gli accessi ai relativi account. Il tribunale del riesame di Roma deciderà entro venerdì se confermare una linea o l’altra.

LE PASSWORD Per la difesa non solo non esiste prova di accesso abusivo a caselle di posta elettronica privata o istituzionale da parte degli Occhionero ma le indagini non hanno documentato che ci siano stati “rivendita e/o smercio” dei dati “eventualmente acquisiti in maniera indebita”. La difesa degli Occhionero ritiene inoltre che nei mesi scorsi, in un lasso di tempo abbastanza ampio, la polizia giudiziaria abbia provato “numerose volte al giorno a inoculare il captatore informatico sul computer ‘gamma’ dell’ingegnere”. Insomma questi ripetuti tentativi quotidiani possono aver generato un traffico telematico che necessariamente ha ‘sporcato’ ed alterato il traffico telematico di quel periodo con evidenti riflessi sulla genuinita’ e attendibilita’ delle risultanze dell’intercettazione telematica passiva”. La Procura ribatte e chiede all’ingegner Occhionero di fornire agli inquirenti le password di accesso sui computer e sui server. “Se non ha nulla da nascondere perché non ce le vuole dare?”, ha chiesto il pubblico ministero Albamonte. Ma da questo punto di vista, della possibile collaborazione, si ribatte che non si vogliono fornire quei dati perché nelle memorie ci sono fatti privati e interessi personali.

 

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