A 23 anni costretta a partorire in cella da sola. Nessun medico

A 23 anni costretta a partorire in cella da sola. Nessun medico
12 settembre 2021

Una giovane donna, Amra, 23 anni, etnia rom, ha partorito nel carcere di Rebibbia, nella sua cella in una totale violazione dei diritti dei detenuti. Oltre che in condizioni sanitarie inadeguate, il parto è avvenuto senza l’assistenza di un’ostetrica o di personale medico. Solo la compagna di cella, anch’essa incinta (al quinto mese) e anch’essa rom. Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, ha deciso di inviare gli ispettori a Rebibbia per acquisire elementi su quanto accaduto lo scorso 1 settembre. Il Dap (che ha fornito una versione dei fatti differente) ha invece espresso “rammarico” per l’accaduto.

Amra, che fortunatamente sta bene come la sua quarta figlia, ha raccontato a Repubblica quanto accaduto dieci giorni fa. Un fatto grave e, per giunta, tutt’altro che inaspettato, visto che pochi giorni prima di dare alla luce la bambina, Amra era stata ricoverata in una stanza dell’ospedale Pertini di Roma per una minaccia di aborto. Ma dall’ospedale la detenuta è tornata in carcere, dove ha partorito, assistita solo dalla sua compagna di cella. All’arrivo del medico (allertato dagli agenti della penitenziaria) in cella, infatti, il parto si era concluso. La donna, poi, è stata subito riportata al Pertini dove vi è rimasta per cinque giorni.

“Come responsabile dell’Amministrazione Penitenziaria, non posso che essere rammaricato per il fatto che una donna abbia dovuto partorire in carcere – afferma  il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Bernardo Petralia -. Fortunatamente si tratta di una vicenda che si è conclusa senza alcuna criticità e ora sia la mamma che la neonata stanno bene”. A seguito dei primi accertamenti immediatamente disposti dal Capo del DAP, risulta che la donna, in istituto dal 23 giugno scorso, in data 1 agosto aveva presentato una istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. Il 7 agosto l’Autorità Giudiziaria si riservava di decidere in attesa di una relazione dell’Area sanitaria dell’istituto sulle condizioni di salute della detenuta; richiesta che veniva sollecitata nuovamente il 9 agosto. Il giorno successivo, 10 agosto, l’Area sanitaria inviava la relazione alla quale non ha fatto seguito alcun altro provvedimento dell`Autorità Giudiziaria. Il 18 agosto la detenuta veniva inviata per accertamenti urgenti in ospedale, dal quale rientrava in istituto lo stesso giorno.

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“Tengo a precisare che nessuna responsabilità può essere addossata all’istituto penitenziario che si è adoperato, nel limite delle proprie responsabilità e competenze, per velocizzare al massimo le comunicazioni con l’Autorità Giudiziaria e le Autorità Sanitarie competenti, in relazione all`istanza di revoca della custodia cautelare avanzate dalla detenuta”, ha aggiunto il Capo del DAP. Stando alle prime ricostruzioni, nella notte fra il 30 e il 31 agosto la detenuta si trovava nella propria stanza del reparto infermeria dell’istituto penitenziario, assistita dal medico e dall’infermiera in servizio. Al manifestarsi dei primi dolori e constatata l’urgenza di un ricovero, il medico si sarebbe allontanato per contattare l’ospedale e richiedere l`immediato intervento di una ambulanza. Proprio in quel frangente la detenuta avrebbe partorito.

Il sindacato della polizia penitenziaria: “Vergogna, tardivo l’invio degli ispettori. Quanto è accaduto in una cella del carcere romano con la detenuta che ha partorito assistita dai sanitari dell’istituto e dal personale di polizia penitenziaria dovrebbe far vergognare la Ministra di Grazia e Giustizia Cartabia, prima di tutto come donna. Inviare gli ispettori ministeriali dopo quanto è successo è tardivo, inutile e non può servire a salvare la coscienza”. Lo sostiene Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato della polizia penitenziaria Spp. Il sindacalista ricorda che da diversi anni la sua organizzazione ha lanciato la campagna “nessun bambino in cella” e “purtroppo dobbiamo solo registrare che il numero si è dimezzato ma la situazione di autentica barbarie non è stata superata. È anche questo il segnale del disinteresse istituzionale e della politica per i veri problemi del sistema penitenziario italiano mostrando solo interesse per fatti come quelli di Santa Maria Capua Vetere per i quali si continua a dare grande clamore mediatico”.

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