Il Papa, la difesa del lavoro e quelle accuse di “comunismo”

Il Papa, la difesa del lavoro e quelle accuse di “comunismo”
19 agosto 2015

di Enzo Marino

L’intemerata di oggi è solo l’ultima di una lunga serie. All’udienza generale in Vaticano Papa Francesco ha denunciato la pericolosa tendenza della società odierna a “considerare la famiglia un ingombro, un peso, una passività, per la produttività del lavoro”, a organizzare il lavoro in modo da tenere la famiglia “in ostaggio” o, addirittura, ostacolarne il cammino (in quel caso “siamo sicuri che la società umana ha incominciato a lavorare contro se stessa”) ed ha avvertito che la gestione dell`occupazione “non può essere lasciata nelle mani di pochi o scaricata su un mercato divinizzato”. Jorge Mario Bergoglio non perde occasione di parlare di povertà, lavoro, disuguaglianze. La cosa gli procura non poche critiche. I tea party statunitensi lo accusano da tempo di essere “marxista”, l’Economist ha avuto a definirlo “leninista”, i suoi detrattori di Curia gli hanno dato del “trotskista”. In vista del prossimo viaggio negli Stati Uniti, a settembre, dagli ambienti rapubblicani emerge una certa apprensione per il discorso anti-capitalista che il pontefice argentino (che visita gli Usa per la prima volta in vita sua) potrebbe pronunciare al Congresso. Lui, di fronte alle critiche, non si scompone. “Io dico solo che i comunisti ci hanno derubato la bandiera. La bandiera dei poveri è cristiana”.

E non perde occasione di parlarne. Ai movimenti popolari ricevuti in Vaticano e poi incontrati in Colombia, alle udienze generali del mercoledì, nei discorsi a braccio o nei suoi testi più sistematici. La Laudato si’, enciclica ecologica che è tornato a citare anche oggi, accolta con entusiasmo da movimenti green, cattolici impegnati nel sociale, ortodossi, con perplessità, se non aperto dissenso, da petrolieri e politici di diversi paesi (nonché da qualche cardinale), dedica svariati passaggi ai poveri, i più esposti ai disastri ambientali. Ma già nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium scriveva, ad esempio: “Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l`esplosione”. Se ha dedicato agli immigrati di Lampedusa il suo primo viaggio in Italia, ai disoccupati ha dedicato l’omelia di un’altra delle sue prime visite, quella a Cagliari del settembre 2013 (“Signore, insegnaci a lottare per il lavoro”). Parla di lavoro e disoccupati ogni volta che all’udienza del mercoledì partecipa una delegazione di operai di qualche impresa a risschio di chiudere i battenti (Whirpool, Indesit, Shelbox…). Quando il presidente boliviano Evo Morales gli ha regalato un crocifisso in legno a forma di falce e martello, dopo un primo momento di stupore Francesco ha sorriso e, ricordando che il disegno originale era del gesuita Luis Espinal morto per il suo impegno per i poveri, se l’è portato a Roma.

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Il Papa gesuita sogna una Chiesa “povera e per i poveri”. Batte e ribatte sul fatto che i poveri sono “al centro del Vangelo”. Sposta il baricentro della Chiesa lontano da quei “valori non negoziabili” cari, ad esempio, al cardinale Camillo Ruini, verso questioni – l’immigrazione, la disoccupazione, la tratta degli esseri umani – cari a una secolare tradizione cattolica: il Vangelo, i padri della Chiesa, santi come Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti, e di San Francesco, di cui ha preso il nome, una schiera di missionari, sacerdoti e religiosi presenti nei secoli, in ogni angolo del mondo, accanto agli ultimi, e da ultimo il Concilio vaticano II e personalità come quel dom Helder Camara più volte citato, implicitamente, da Bergoglio: “Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”. La guerra fredda, del resto, è ormai lontana. E se nei decenni passati la Chiesa ha rischiato di vedersi incasellata all’interno dei rigidi schemi della contrapposizione tra i due blocchi, oggi, con il primo Pontefice latino-americano della storia, anche la sua geopolitica ha tutt’altro respiro. E guarda con spirito aperto a due giganti, come Russia e Cina, che della tradizione comunista, a modo loro, sono eredi.

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