M5S ancora in fermento, per Draghi si muove Grillo

M5S ancora in fermento, per Draghi si muove Grillo
Beppe Grillo e Davide Casaleggio
5 febbraio 2021

Quasi tutti i Movimenti 5 stelle saranno domani a Montecitorio per le consultazioni con il presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi. “Attualmente ce ne sono tre”, scherza una fonte parlamentare, e in effetti la composizione della delegazione stellata tradisce un po’ di confusione. La pattuglia sarà guidata dal fondatore Beppe Grillo, unico che può rimettere insieme i pezzi del puzzle stellato.
L’uomo del vaffa, convertito alla religione del buon governo con (quasi) qualunque alleato, riprende il suo ruolo di garante dopo un lungo periodo di assenza fisica e di rare incursioni comunicative.

Se nel disperato tentativo per il Conte 3 sono stati considerati sufficienti il capo politico reggente Vito Crimi e i capigruppo di Camera e Senato Davide Crippa e Ettore Licheri, stavolta oltre a loro, con Grillo ci saranno il vicecapogruppo a Montecitorio Riccardo Ricciardi, uomo vicino a Roberto Fico, e Paola Taverna, fra le personalità più esposte nell’iniziale no a Draghi e al governo tecnico, ma forte di uno storico rapporto con Grillo, e che oggi è data “in fase di ricollocazione politica verso un possibile sì” all’ex presidente della Bce. Dietro le quinte si muove il vero regista dell’operazione: Luigi Di Maio, che secondo un parlamentare che lo conosce bene “certamente aveva avuto contatti e garanzie già prima della caduta dell’ipotesi Conte 3. Ora si sta dando spazio e visibilità a cose che almeno in parte sono state immaginate e discusse prima”. Poi se Grillo darà il via libera definitivo “spetterà al leader ombra Di Maio, non al garante e nemmeno al ‘reggente'” mettere a punto i dettagli e concordare le eventuali “poltrone” ministeriali di spettanza 5 stelle, nel caso in cui la compagine governativa non fosse appannaggio di soli tecnici.

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Lo scontro interno è ancora vivo, anche se in pochi, nei palazzi parlamentari, mettono in dubbio che la maggioranza dei gruppi parlamentari sia pronta a sostenere il nuovo esecutivo. “Al Senato si fomentano tra loro, qui alla Camera la situazione è più tranquilla”, racconta una deputata esperta. La delegazione rivista “serve a mettere in chiaro che Crimi non ha più la delega a trattare per tutti e Grillo ci aiuta ad avvicinare i più riottosi, soprattutto al Senato”. A Roma piomba Davide Casaleggio e rilancia le procedure tradizionali: “Ho incontrato diversi parlamentari e ministri qui a Roma. Qualunque sarà lo scenario politico possibile, c’è ampio consenso sul fatto che l’unico modo per avere una coesione del Movimento 5 stelle sarà quello di chiedere agli iscritti su Rousseau”.

Sulla trincea “almeno fateci votare sui Rousseau” si attestano l’ex ministro Danilo Toninelli, che in un post ricorda le battaglie storiche del Movimento, dall’acqua pubblica alla cacciata dei Benetton da Autostrade per l’Italia e ribadisce la sua sfiducia in un governo tecnico, e il presidente della commissione antimafia Nicola Morra. “Altrimenti – è l’allarme che lancia – saremo suscettibili di essere accusati di promuovere la democrazia dell’esclusione!”. Ma nel pomeriggio, in una riunione di direttivo alla Camera, nessuno sostiene questa linea: “Nei nostri Stati generali non si era deciso di rivedere il rapporto con Rousseau? Non è stato fatto, che facciamo, facciamo finta di niente? Per la maggior parte di noi non se ne parla”.

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A tenere alta la bandiera del no senza se e senza ma resta Alessandro Di Battista con pochi fedelissimi. Dal suo fortino su Facebook spara: “Ogni ora che passa, per quanto mi riguarda, si aggiungono ragioni su ragioni per dire NO a Draghi”. E la formula “Governo politico” evocato da Conte e Di Maio “non ha alcun senso in questo scenario”. Con lui Barbara Lezzi, altra ex ministra del Conte 1: “Non posso credere – scrive – che ci sia tra noi la convinzione che sedere allo stesso tavolo dell’operazione Verdini da Rebibbia possa rappresentare il bene per il Paese ancor più in questo drammatico momento”. L’area Di Battista non si arrende, quindi, ma l’ex deputato è considerato fuori gioco da tempo perché non ha un “ombrello” da offrire ai suoi: non un partito, una componente strutturata, una lista elettorale. Almeno per ora.

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