Nomine Ue, continua negoziato in vista del Consiglio europeo. Merkel in pole, Italia fuori dai giochi (al momento)

Nomine Ue, continua negoziato in vista del Consiglio europeo. Merkel in pole, Italia fuori dai giochi (al momento)
Emmanuel Macron e Angela Merkel
18 giugno 2019

Continua a Bruxelles e tra le capitali degli Stati membri, in vista del vertice Ue del 20 e 21 giugno, il negoziato sulle nomine per i nuovi vertici delle istituzioni comunitarie; e in realtà ci sono pochi cambiamenti rispetto a poco più di due settimane fa, quando, subito dopo le elezioni europee, i capi di Stato e di governo avevano dato il via al processo; con l’intesa di arrivare a indicare almeno due donne fra i quattro candidati ai posti più importanti: le presidenze del Consiglio europeo, della Commissione e della Bce, e l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza comune (Pesc).

Innanzitutto, è chiaro come il vero “kingmaker” di questi negoziati sia il presidente francese Emmanuel Macron, per il quale le elezioni europee – al di là di una frettolosa lettura molto italiana che lo ha descritto come umiliato dal sorpasso (per un solo seggio) da parte della diretta avversaria politica, Marine Le Pen – hanno rappresentato in realtà un’affermazione importante sulla scena europea, la conferma della sua stella in ascesa, proprio mentre è ormai al tramonto la grande carriera politica della cancelliera tedesca Angela Merkel.

La novità più importante è il fatto che nei giorni scorsi sia stato menzionato ufficialmente, da parte di Macron, proprio il nome della cancelliera come possibile candidata per la presidenza della Commissione, mentre già circolava anche l’ipotesi di affidarle, in alternativa, la presidenza del Consiglio europeo. E’ chiarissimo che, se la Merkel dovesse alla fine accettare la candidatura a uno di questi due posti (cosa che per ora ha sempre rifiutato decisamente di fare), per lei ci sarebbe un plebiscito immediato, e per l’Europa il segnale che si voglia davvero rilanciare tutta la costruzione comunitaria, con una guida di prestigio e autorevolezza senza pari a livello interno e internazionale.

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Se Merkel accettasse di assumere la presidenza del Consiglio europeo, per Macron sarebbe più difficile ottenere l’investitura alla presidenza della Commissione per il negoziatore capo della Brexit, Michel Barnier, che appartiene alla famiglia del Ppe come la cancelliera tedesca; ma a quel punto potrebbe tirar fuori la carta del suo attuale ministro dell’Economia e Finanza, Bruno Le Maire, che milita nel suo stesso partito “En Marche”, ora affiliato ai liberali europei che sono stati ribattezzati per l’occasione “Renaissance” (rinascimento).

Un’altra possibilità sarebbe la candidata liberale ufficiale, la danese Margrethe Vestager, attuale commissaria Ue alla Concorrenza. Due donne, dunque, Merkel al Consiglio europeo e Vestager alla Commissione: sarebbe un segnale fortissimo di cambiamento e di fiducia nel rilancio dell’Europa, la “Renaissance” appunto, che Macron si è posto fin dall’inizio come obiettivo della sua presidenza in Francia e ha posto come obiettivo del nuovo ciclo politico dell’Ue. Meno attraenti sono le possibilità che si aprono per il Consiglio europeo se Merkel accettasse la candidatura alla presidenza della Commissione: un’altra donna, l’attuale presidente della Repubblica lituana Dalia Grybauskayté, ex commissaria europea prima alla Cultura e poi al Bilancio, risolverebbe l’equazione delle nomine che, nel nome dell’equilibrio geografico, dovrebbero comprendere almeno un esponente dell’Europa centro-orientale.

Ma alla presidenza del Consiglio europeo i candidati sono già una piccola folla di ex premier, soprattutto di liberali: il belga (francofono) Charles Michel, il danese Lars Rasmussen, l’olandese Mark Rutte. E non manca una possibile candidata socialista: la danese Helle Thorning Schmidt. Se Merkel, come appare oggi probabile (ma non certo), resterà inamovibile nella sua decisione di non candidarsi a nulla, per la presidenza della Commissione il candidato più probabile appare Barnier, che a quel punto Macron, salvo sorprese, sponsorizzerebbe in pieno, e che avrebbe buone probabilità di passare, sia perché con lui, popolare, si rispetterebbero gli equilibri politici usciti dalle elezioni; sia perché come capo negoziatore per la Brexit ha rappresentato bene l’interesse di tutti gli Stati membri, che lo hanno molto apprezzato per questo, oltre a servire l’interesse generale dell’Ue. In alternativa, Macron potrebbe sostenere un’altra possibile candidata francese, anche lei del Ppe come Barnier: l’attuale direttore del Fmi, ed ex ministro delle Finanze, Christine Lagarde.

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Ma è forse anche più probabile che il presidente francese appoggi la Lagarde per la presidenza della Bce, soprattutto per sbarrare la strada al candidato tedesco Jens Weidemann, l’anti Draghi per eccellenza (da presidente della Bundesbank ha votato sempre contro tutte le misure con cui l’attuale presidente Bce, Mario Draghi, ha salvato l’euro e dato respiro ai paesi più colpiti dalle politiche d’austerità). Macron, comunque, ha anche un altro candidato francese per la guida della Bce, l’attuale governatore della banca centrale francese François Villeroy de Galhau; ma potrebbe finire con l’accettare l’ipotesi di compromesso più accreditata: l’ex commissario europeo (all’Industria) ed ex presidente della banca centrale finlandese Erkki Liikanen, che, al contrario dell’altro finlandese candidato, l’ex commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn, non è affatto un fanatico dell’austerità e ha sempre sostenuto Draghi.

Quanto all’Alto rappresentante per la Pesc, ci sono almeno tre candidati di peso: innanzitutto l’olandese Frans Timmermans, “Spitzenkandidat” (candidato capolista) dei socialisti europei e attuale primo vicepresidente della Commissione, che ha avuto un buon risultato elettorale nel suo paese e ha fatto un’ottima campagna; poi l’attuale ministro degli Esteri spagnolo ed ex presidente del Parlamento europeo Josep Borrell, sostenuto dall’altra stella in piena ascesa della politica europea, il premier socialista di Madrid Pedro Sanchez; infine, la bulgara Kristalina Georgieva, direttore esecutivo e presidente ad interim della Banca Mondiale, nonché più volte commissaria europea (agli Aiuti umanitari, alla Cooperazione e Sviluppo e infine al Personale e Bilancio), che ha il vantaggio, oltre a essere una donna, di venire dall’Europa centro-orientale.

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Rientra, infine, fra le nuove nomine anche la presidenza del Parlamento europeo, sebbene con uno statuto “sui generis”, perché è decisa dall’Assemblea di Strasburgo in piena autonomia, ma tenendo conto comunque degli equilibri politici delle altre candidature. E’ anche la prima nomina a essere decisa, visto che l’elezione da parte del Parlamento europeo avverrà alla sua prima seduta, all’inizio di luglio. A Bruxelles, in molti pensano che la presidenza del Parlamento verrà “offerta” allo “Spitzenkandidat” del Ppe, il tedesco Manfred Weber, che non sembra avere alcuna chanche di essere designato, come ancora pretende, dal Consiglio europeo alla presidenza della Commissione. Sarà , dunque, per lui una sorta di risarcimento, un premio di consolazione, come già avvenne cinque anni fa a un altro “Spitzenkandidat” il socialista Martin Schulz. Per la seconda parte della legislatura, fra due anni e mezzo, la presidenza del Parlamento europeo potrebbe andare invece all’ex premier belga, e finora leader del gruppo euroliberale Guy Verhofstadt, che probabilmente non guiderà più il nuovo gruppo Renaissance; oppure, per la prima volta, a essere eletta potrebbe essere una verde, la “Spitzenkandidat” Ska Keller. askanews

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