I veleni, i metalli pesanti e la follia. L’emergenza Gela inghiottita dai silenzi

I veleni, i metalli pesanti e la follia. L’emergenza Gela inghiottita dai silenzi
18 febbraio 2017

I metalli pesanti non “uccidono” il giorno dopo, hanno bisogno di una lunga incubazione che ricorda il micidiale percorso che fa l’amianto per raggiungere le cellule degli esseri umani. I tempi possono allungarsi al punto da ipotizzare la trasmissione ereditaria delle malattie degenerative, creando una sorta di terreno fertile per le neuropatie. E’ così che si spiega il fatto che le malattie mentali, a Gela, colpirebbero ogni fascia di età. Sono doppiamente colpevoli gli inquinatori, consapevoli o ignari, quanto le autorità preposte alla prevenzione ed alla cura delle malattie. “Culpa in vigilando”, e assenza di presidi sanitari, strutture di prevenzione e cura. Duemila malati di mente, ed almeno altrettanti pazienti non registrati, avrebbero dovuto mobilitare le persone e le coscienze. Anche gli ignari hanno capito che non sono il risultato di una concentrazione astrale avversa, né del destino cinico e baro e sono la somma di una serie di fattori patogeni concomitanti. L’industria – quella petrolchimica in testa – è stata “protetta” dagli allarmi degli ambientalisti e degli scienziati, e da una controparte attrezzata, in grado di contestare con indizi e prove lo stato delle cose.

I VELENI Per più di mezzo secolo, gli impianti petriolchimici, le centrali a carbone e le raffinerie, come quelle di Gela sono state tenute di fatto al riparo delle contestazioni. Gli interessi delle popolazioni, e quelli in prima istanza dei lavoratori, non sono stati rappresentati da autorità “forti” ed attrezzate, ma da uomini e organizzazioni disarmate e talvolta dubbiose sul da farsi. L’inquinamento da metalli pesanti, è la testimonianza di questa “tutela” e sostanziale immunità concesse alle industrie inquinanti. Se così non fosse, Gela – e le aree omologabili a quella di Gela – avrebbero potuto contare almeno su servizi di assistenza e di cura delle malattie indotte dalla presenza nell’aria, nel terreno e nella catena alimentare, di “veleni” che avrebbero, sicuramente, provocato, nel tempo non solo malformazioni nei nascituri e tumori, a causa dell’amianto ed altri agenti patogeni, ma anche gravi neuropatie. Anche l’autorità giudiziarie e gli in vestigatori più risoluti si sono dovuti arrendere davanti al deserto di strumenti e volontà “superiori”. Gli spaventosi numeri di Gela sulle malattie mentali, la devastante cifra di suicidi e tentati suicidi nell’anno appena trascorso (40), sono il risultato di una cecità accuratamente nascosta. L’assenza di strutture di cura e assistenza, essenziali nel campo delle malattie della mente – appena due psichiatri per una città di circa 80 mila abitanti con elevata livello di neoropatie sprovvista di un centro diurno di salute mentale – è il corollario e la conferma dell’intollerabile disattenzione, tanto grave da lasciare perfino sospettare la pianificazione della violenza ai danni delle cose e delle persone.

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LA PRESA D’ATTO Ovviamente non è immaginabile che sia stato progettato lo stupro, ma è possibile che esso sia stato perpetrato senza che alcuno, fra coloro che sapevano, abbia mosso un dito. E’ come se ci si fosse seduti in prima fila ad osservare, senza intervenire, la violenza o ci si fosse voltati dall’altra parte per evitare di essere coinvolti emotivamente. Nei tribunali si celebreranno i processi per le terribili conseguenze dell’esposizione all’amianto a Gela, nei Ministeri e nelle sedi degli istituti di prevenzione e vigilanza ambientale si cercheranno le prove dei collegamenti fra i morti di tumore e l’inquinamento – marino ed atmosferico. Chissà quanto bisognerà ancora attendere. Non tanto per avere giustizia, che pure è un bisogno sacrosanto, quanto per pretendere “la presa d’atto” dei guai presenti. Figuriamoci quanto si è lontani perciò dall’emergenza dei metalli pesanti – causa delle neuropatie – mai sfiorata a livello locale, regionale e nazionale. I casi di suicidio e tentato suicidio – le madri che uccidono i loro bambini – sono stati vissuti come disgrazie che possono capitare ovunque, mentre ora sappiamo che potrebbee non essere affato così. Anche la città ha le sue responsabilità: vittima della “violenza” ambientale, si è rivoltata contro l’industria, e combattuto soprattutto per mantenere la causa dei disastri, spaventata dalla prospettiva della perdita dei posti di lavoro.

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MALATTIE MENTALI La schiavitù del silenzio. E’ la petrolchimica che se ne va, non sono i gelesi che la cacciano: si preferisce credere – perché non c’è altermativa – in una palingenesi piuttosto che nella legge del mercato. L’investimento per la salvaguardia di vite umane deve rientrare nel budget e il budget nell’economia di gestione, altrimenti viene rinviato, rateizzato, contrattato. Gela non ha meritato del risarcimento dei guai subiti, sia per la scarsa attenzione data ai reati ambientali, sia per il ricatto, costante, dell’industria sui posti di lavoro. Ora nessuno può fingere di non sapere. A Gela l’asticella della tolleranza si è alzata di anno in anno senza che alcuno muovesse un dito, anzi. Appena due anni or sono sono stati adottati dalla Regione siciliana dei correttivi al sistema di distribuzione delle risorse nell’assistenza sanitaria, impoverendo ancora di più le strutture del distretto di Gela, e non solo. Un impoverimento deciso dalle burocrazie invece che da medici, esperti e scienziati. Difronte alla terribilità dell’emergenza “malattie mentali”, perfino l’amministrazione regionale, guidata – un paradossso – al massimo livello da un gelese, e quella locale, gestita da chi vive direttamente i guai ambientali, si sono voltate dall’altra parte. Non abbiamo altra notizia su provvedimenti ed interventi da parte delle autorità sanitarie dotate di poteri decisionali. Questo “deserto” di sensibilità e di volontà ci pare più inquietante della stessa violenza perpetrata nei decenni ai danni del territorio e della gente.

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