Von der Leyen, il giorno delle scelte per la futura Commissione europea. E martedì il voto

Von der Leyen, il giorno delle scelte per la futura Commissione europea. E martedì il voto
Von der Leyen
14 luglio 2019

Domenica di intenso lavoro, oggi a Bruxelles, per Ursula von der Leyen, la presidente designata della futura Commissione europea che martedì pomeriggio a Strasburgo si sottoporrà al voto dell’Europarlamento. Ma, soprattutto, è il giorno della scelta: von der Leyen deve decidere se ascoltare o no il canto delle sirene dell’estrema destra sovranista, Lega compresa. Negli uffici provvisori che l’attuale Commissione ha messo a disposizione, per lei e il suo piccolo staff “di transizione”, la presidente designata deve trovare tutte le risposte giuste alle due lettere che le hanno inviato giovedì scorso i neo presidenti del gruppo liberale Renew Europe, il romeno Dacian Ciolos, e di quello socialista e democratico (S&D), la spagnola Iratxe García Pérez; poi, dovrà integrare quelle risposte nel discorso che farà martedì davanti alla Plenaria di Strasburgo, prima del dibattito in aula e del voto, sui grandi orientamenti per le politiche europee dei prossimi cinque anni.

E’ un esercizio di equilibrio difficilissimo: mai come questa volta è incerto l’esito del voto segreto, con deposizione della scheda nell’urna. Von der Leyen ora deve scegliere: resterà ambigua e vaga, com’è stata durante le sue audizioni davanti ai gruppi politici nei giorni scorsi, proprio sui punti più importanti, quelli discriminanti fra le visioni di destra e di sinistra, europeiste e sovraniste, conservatrici dell’establishment o rinnovatrici? O si deciderà finalmente a dire “no grazie” a coloro che, dal Segretariato generale della Commissione, le hanno consigliato finora fin troppa cautela e ambivalenza, per cercare di raccogliere anche i voti della destra? Un primo segnale che proprio questa potrebbe essere la decisione di von der Leyen è venuto ieri, quando si è saputo che ha annullato l’incontro, inizialmente previsto per lunedì a Strasburgo, con il leghista (ed ex eurodeputato del M5s) Marco Zanni, presidente del gruppo della destra sovranista Identità e Democrazia. Certamente un segnale, visto che la presidente designata ha incontrato tutti gli altri gruppi, e persino la capodelegazione del M5s, Tiziana Beghin.

Il tentativo di risultare accettabile a tutti potrebbe facilmente ribaltarsi in un risultato opposto a quello cercato, con un’emorragia di consensi proprio da quello che teoricamente dovrebbe essere il centro, il “nucleo duro” del suo sostegno parlamentare, quella alleanza mai veramente compiuta fra i gruppi Ppe, S&D e Renew Europe. E’ un’alleanza che sulla carta dispone di 444 voti, ma nessuno può dire oggi con sicurezza che nell’urna riesca effettivamente a garantire il raggiungimento della maggioranza assoluta necessaria. Una soglia pari a 374 voti perché il totale dei membri oggi è di 747 membri (invece di 751), visto che tre catalani e una danese non sono ancora stati confermati. Pare che von der Leyen, profonda conoscitrice del sistema parlamentare federale tedesco me ignara delle dinamiche interne dell’Europarlamento, sia rimasta molto colpita dalla mancanza di un “centro” politico stabile nell’Assemblea di Strasburgo, e dalla grande differenza di posizioni che spesso si incontrano, a causa delle diverse sensibilità nazionali, all’interno dei gruppi.

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Contrariamente ai parlamenti nazionali, non c’è a Strasburgo una “maggioranza di governo”, che approvi automaticamente tutte le proposte legislative della Commissione, e una “opposizione” che vi si opponga sistematicamente. I gruppi, con la sola esclusione di quelli chiaramente antieuropei, partecipano tutti con i loro rappresentati (nelle commissioni parlamentari e poi con i loro relatori e relatori-ombra) ai negoziati legislativi; inoltre, le alleanze sono spesso effimere, o non controllano tutte le componenti nazionali e individuali dei gruppi che vi partecipano. Questo primo errore di percezione ha causato un atteggiamento controproducente nelle audizioni di von der Leyen nei gruppi politici: la presidente designata dava l’impressione di non capire che non tutti i Socialisti e Democratici, e neanche tutti i Liberali di Renew Europe l’avrebbero votata, se continuava a non rispondere, o a restare nel vago sulle questioni fondamentali per la prossima Commissione: ad esempio quando le chiedevano se avrebbe continuato comunque l’opera di Frans Timmermans nel perseguire gli Stati membri come Ungheria e Polonia che non rispettano lo stato di diritto (indipendenza della magistratura, libertà e pluralismo dei media, autonomia universitaria, diritti delle minoranze etc.).

Su questo punto, è sembrato che la presidente designata volesse rassicurare Ungheria e Polonia, i partiti autoritari al potere nei due paesi (Fidesz e Pis), e i loro alleati o simpatizzanti della destra sovranista e conservatrice nei gruppi Id ed Ecr. Timmermans resterà primo vicepresidente nella nuova Commissione come lo era in quella attuale, ma von der Leyen ha fatto capire che non avrà le stesse responsabilità; e poi ha messo troppo l’accento sul ruolo della Corte europea di Giustizia nel controllo dell’applicazione dello stato di diritto, e non abbastanza sul ruolo della Commissione. Venerdì mattina a Bruxelles, durante una conferenza stampa di presentazione della sessione plenaria di Strasburgo, il portavoce di Id è stato chiarissimo su quello che vuole la destra sovranista: per sostenere von del Leyen, ha detto, i nostri europarlamentari dovranno avere la garanzia che cesseranno “le interferenze inammissibili della Commissione nelle questioni interne degli Stati membri”. E ha aggiunto: “Sarà estremamente difficile per noi votare per lei se continueranno gli attacchi (come quelli di Timmeramns, ndr) contro dei governi democraticamente eletti”.

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Sulla questione dello stato di diritto, comunque, von der Leyen è stata messa alle strette dalle domande scritte che le hanno rivolto Renew Europe e gli S&D. I liberali esigono, come condizione per votare la presidente designata, “un impegno molto chiaro e non ambiguo di predisporre un meccanismo europeo sullo stato di diritto che assicuri che i nostri valori fondamentali siano rispettati in tutti gli Stati membri”, e che “includa un regime di sanzioni basato su esperti indipendenti” contro i paesi inadempienti. Anche i Socialisti e Democratici chiedono “un nuovo meccanismo complessivo sullo stato di diritto”, e in più aggiungono che dovrà avere “sanzioni legate ai fondi comunitari”; una condizione inaccettabile per i governi per i governi dei paesi del gruppo di Visegrad. L’altro punto fondamentale, dirimente per una collocazione politica anti sovranista, è quello dell’immigrazione. Von der Leyen ha fortemente sostenuto l’esigenza di portare a termine la riforma del sistema dell’asilo di Dublino, e ha ripetuto più volte che bisogna “definire con precisione immigrazione legale e illegale”.

Una frase sibillina che potrebbe nascondere la volontà di governare con più determinazione i flussi illegali, sottoposti in teoria (secondo il Trattato Ue) a decisioni europee di politica comune a maggioranza qualificata; decisioni che sono state invece bloccate negli ultimi anni dalla pretesa dei paesi di Visegrad di decidere sempre all’unanimità. Anche qui la presidente designata potrebbe decidere di sciogliere l’ambiguità, e dire chiaramente che solo l’immigrazione legale è sottoposta alla competenza esclusiva degli Stati, mentre per quella illegale deve applicarsi il principio di solidarietà europea, con un’equa ripartizione degli oneri. Sembra poi che von der Leyen sia favorevole a ritornare a un impegno pieno dei mezzi europei nelle attività di sorveglianza, ricerca e soccorso in mare nel Mediterraneo; e su questo non potrebbe essere più lontana dalle posizioni dei sovranisti e, in Italia, della Lega. Perché non dirlo esplicitamente, allora? Il discorso di martedì sarebbe la migliore occasione per lei di affermare che il problema dell’immigrazione va affrontato in modo umano, solidale, nel pieno rispetto dei valori fondamentali e della legalità internazionale ed europea.

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A quanto pare, la lettura della stampa internazionale degli ultimi giorni ha allarmato von der Leyen e il suo staff. Quando hanno visto il deludente risultato delle audizioni nei gruppi, e soprattutto la forte denuncia dello spostamento a destra dell’equilibrio politico su cui dovrà poggiare la futura Commissione, i suoi consiglieri di Bruxelles devono aver capito che quella seguita finora non era la strategia vincente. Ma è oggi e nelle prossime ore è lei che dovrà decidere. Ascoltando di meno chi le raccomanda di essere ambigua e opportunista, parlando sulla base delle proprie convinzioni, da medico, da donna e madre di sette figli, da ex ministro degli affari sociali, da europeista convinta, von der Leyen si alienerebbe sicuramente i voti dell’estrema destra sovranista e conservatrice, e anche una parte di quelli del Ppe (di cui ancora fa parte Fidesz del premier ungherese Viktor Orban). Ma riguadagnerebbe buona parte dei consensi che ha già perso fra i Liberali e soprattutto fra i Socialisti e Democratici, persino fra i Verdi che hanno già deciso di non votarla. Alla fine, forse, avrebbe anche più chance di essere eletta. Ma ne uscirebbe comunque a testa alta.

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