Cina in campo per fermare l’escalation Israele-Iran
Pechino evacua connazionali e preme per il cessate il fuoco, ma Tel Aviv va avanti con “Rising Lion”
Xi Jinping
Mentre i cieli del Medio Oriente si incendiano, Pechino scende in campo come aspirante paciere tra Israele e Iran. La Cina ha messo sul tavolo la propria candidatura a mediatrice per spegnere l’escalation che rischia di trascinare l’intera regione nel caos, anche se per ora Tel Aviv non sembra intenzionata a fermare la macchina bellica dell’operazione “Rising Lion”.
La mossa diplomatica del Dragone arriva mentre già sono partite le operazioni di evacuazione dei cittadini cinesi dai due paesi in conflitto, segno inequivocabile della gravità della situazione. Ma Pechino non si limita alle misure precauzionali: ha schierato la propria diplomazia ai massimi livelli.
Xi Jinping rompe gli indugi dal Kazakistan
Il colpo di scena è arrivato direttamente dal presidente Xi Jinping, che dal Kazakistan – dove era impegnato nel summit Cina-Asia centrale – ha lanciato il guanto di sfida alle potenze occidentali tradizionalmente dominanti negli equilibri mediorientali.
La diplomazia cinese lavora su due fronti
Il ministro degli Esteri Wang Yi ha fatto gli straordinari nel weekend, tessendo la tela diplomatica con telefonate separate ai colleghi iraniano e israeliano Abbas Araghchi e Gideon Sa’ar. Un doppio binario delicatissimo: da una parte la condanna senza appello dell’offensiva israeliana, bollata come violazione “inaccettabile” del diritto internazionale; dall’altra l’offerta di buoni uffici per ricucire lo strappo tra le parti.
Il sostegno all’Iran trova sponda nell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), la creatura geopolitica partorita da Pechino e Mosca che annovera Teheran tra i suoi membri. Anche da questo fronte è arrivata una bordata contro i raid israeliani, con l’appello per una soluzione “pacifica, politica e diplomatica” della crisi.
“Il tempo stringe”: l’ultimatum di Pechino
Il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun non ha usato giri di parole nella conferenza stampa di ieri a Pechino: “La Cina è profondamente preoccupata per l’escalation del conflitto tra Iran e Israele e ne deplora fermamente l’aggravarsi”. Ha dichiarato senza mezzi termini, lanciando un appello che suona quasi come un ultimatum: tutte le parti devono “prendere immediatamente misure per abbassare la tensione e prevenire un’ulteriore destabilizzazione della regione”.
La ricetta cinese è chiara: “La cessazione delle ostilità è l’imperativo più urgente e il dialogo negoziato è l’unica via per raggiungere una pace duratura”. Pechino, ha aggiunto, “è disposta a mantenere contatti stretti con tutte le parti e a svolgere un ruolo costruttivo nell’alleggerimento delle tensioni”.
Il calcolo degli affari dietro la diplomazia
Dietro la facciata diplomatica si nascondono interessi economici colossali che spiegano l’attivismo cinese. La Cina è il cliente numero uno del petrolio iraniano, legata a Teheran da una “partnership strategica globale” siglata quasi un decennio fa. Ma il Dragone gioca su più tavoli: è anche il secondo partner commerciale di Israele e il principale fornitore dello Stato ebraico, grazie alla “partnership globale innovativa” del 2017.
Una polveriera mediorientale metterebbe a repentaglio gli asset commerciali cinesi. I precedenti non mancano: gli attacchi dei ribelli Houthi yemeniti – proxy iraniani – hanno già fatto sentire il loro morso sull’export cinese. Un’escalation nel Golfo Persico, con possibili attacchi alle petroliere o il blocco dello Stretto di Hormuz, rappresenterebbe un incubo per gli interessi economici di Pechino.
La partita a scacchi cinese si gioca così su multiple dimensioni: conquistare prestigio geopolitico globale proteggendo al contempo le rotte commerciali vitali per l’economia del Dragone in una delle regioni più esplosive del pianeta.