Coronavirus, anno scolastico finito. Azzolina: “Troppi rischi”

Coronavirus, anno scolastico finito. Azzolina: “Troppi rischi”
Lucia Azzolina
17 aprile 2020
“In Italia la situazione è ancora troppo pericolosa per pensare di riaprire le scuole”. Lo afferma il ministro per la Pubblica istruzione, Lucia Azzolina, in un’intervista al Corriere della sera.”Il Governo a giorni prenderà una decisione – spiega – ma con l’attuale situazione sanitaria ogni giorno che passa allontana la possibilità di riaprire a maggio. Significherebbe far muovere ogni giorno oltre 8 milioni di studenti” Poi aggiunge: “Scegliere di seguire un principio di cautela, come consigliato dalla comunità scientifica è una decisione molto politica. E non affatto scontata. Solo ieri ci sono stati altri 525 morti. Non cancelliamo gli sforzi fatti finora”. Azzolina sottolinea che anche se ci sarà per tutti la promozione, le pagelle saranno “vere”, con i 4 e i 5. E per le famiglie ci sarà un aiuto con “un’estensione del congedo parentale e del bonus baby-sitter”. Per la Maturità “sarebbe auspicabile” l’esame a scuola. Si ricomincia a settembre, dunque. ”Dedicheremo le prime settimane al lavoro per chi è rimasto indietro o ha avuto insufficienze. Ma non abbiamo stabilito le date, lo faremo insieme alle Regioni” spiega. E se anche settembre ”sarà necessaria la didattica a distanza, ci faremo trovare pronti. Oltre ai fondi già stanziati arriveranno presto altri 80 milioni”.
 
Azzolina infine boccia l’idea delle mascherine in classe: ”Non mi piace l’idea di studenti con la mascherina a scuola. E come si fa a chiedere ad un bambino di rispettare la distanza di sicurezza?”. Di didattica digitale, e della scuola al tempo del coronavirus, intanto, all’agenzia Askanews parla Paolo Ferri, ordinario di Tecnologie per la didattica e Nuovi media all`Università Milano-Bicocca, tra i fondatori del Consorzio Mooc Eduopen, membro del Comitato media e minori del Ministero dello sviluppo economico e già consulente del Ministero dell`istruzione nel campo della didattica aumentata dalla tecnologia. Per la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina la ripartenza della scuola italiana deve puntare anche sulla didattica a distanza, per farsi trovare pronta per una nuova forte ondata di coronavirus, ma “ora la nostra scuola non è pronta: l’Italia ha un gap sulla formazione digitale di 15 anni sul resto d’Europa” dice Ferri, secondo cui “però l’esperienza di questi 2 mesi potrebbe farci fare un salto in avanti di 7-8 anni: potrebbe essere un grande volano. Da giugno si devono mettere in campo strategie formative per gli insegnanti, politiche adeguate per capitalizzare il lavoro fatto e correggere gli evidenti errori. Allora potremo passare dall’attuale 10% al 50% delle classi che lavorano con il digitale e recuperare molto del tempo perso”.

Sulla situazione attuale Ferri è categorico: “Quanto fatto finora, cioè riproporre on line la lezione in aula, è del tutto inutile. La lezione frontale già funziona poco in classe: ora si tengono on line alunni che nel frattempo fanno tutt’altro. È un non senso. La verità è che la scuola italiana paga di essere stata molto refrattaria sul digitale: secondo l’Ocse siamo indietro di 13-15 anni, si pensa ancora che si impara meglio sulla carta. Il problema non è sostituire, ma aumentare la didattica attraverso le potenzialità del digitale. Ora si tratta di gestire esclusivamente in digitale, anche se sarebbe meglio migliorare gli apprendimenti con le potenzialità dell’ICT”. “Ci troviamo in una situazione inaudita: il 90% delle scuole – spiega il docente – non era attrezzato al digitale, si è trovato completamente spiazzato di fronte all’emergenza e ha fatto quello che poteva. Non si può dare la colpa ai docenti se non sono stati formati o non hanno ricevuto adeguate strutture. Ma per il futuro, che ci sia o meno l’emergenza coronavirus, la scuola italiana ha bisogno di un tasso di digitalizzazione molto maggiore”. Per questo, secondo Ferri Ministero e sistema scolastico nei prossimi mesi devono puntare su alcune priorità: “Primo potenziare la banda in tutti gli istituti; secondo sostenere gli incapienti per acquistare device e strumenti tecnologici, quelli giusti: i genitori devono capire che tra uno smartphone da 1000 euro e un notebook da 300 è meglio il notebook; terzo cambiare la metodologia di insegnamento; quarto ogni scuola deve dotarsi di ambienti virtuali per l’apprendimento”.

“L’insegnamento digitale – spiega – si fa con metodi interattivi che si sviluppano non solo in quel momento, ma anche prima e dopo. Inoltre il tempo di attenzione medio per una lezione o un’attività digitale on line è molto più basso rispetto alla classe. Vuol dire materiali gestibili: non un video di 1 ora, ma tanti video di 5 minuti. Inoltre allestire contesti nei quali si lavora su ambienti virtuali di apprendimento, con materiali su cui i ragazzi lavorano on line con gli amici e collegamenti finali con il docente in cui si discute su quanto fatto. Di fronte allo schermo bisogna coinvolgere gli studenti, fargli fare cose, altrimenti i limiti del mezzo si manifestano tutti e si produce apprendimento zero”. “Ora ogni insegnante attiva una class room e fa le sue cose. Invece le scuole devono dotarsi di ambienti virtuali di apprendimento che permettano di inserire e controllare, in un unico contenitore, la programmazione didattica di ogni classe, per erogare in maniera omogenea prima e dopo i momenti interattivi i materiali su cui gli studenti lavorano”. Insomma, conclude Ferri ad Askanews, “la didattica a distanza deve essere un momento interattivo e di discussione, in cui gli studenti sono protagonisti. Prima gli insegnanti non ci pensavano proprio: ora, con il coronavirus, ci si è resi conto che Internet è l’unico strumento per fare scuola. E’ il momento di investire per recuperare tutto il tempo perso”.

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