Jobs act divede il Pd, in 40 non partecipano al voto

Jobs act divede il Pd, in 40 non partecipano al voto
25 novembre 2014

di Giuseppe Novelli

Sono 40 i deputati del Pd che non hanno partecipato al voto sul Jobs act alla Camera. I firmatari del documento critico invece sono stati 29, tra gli assenti anche Enrico Letta. Pippo Civati e Luca Pastorino hanno invece votato contro e altri due civatiani, Paolo Gandolfi e Giuseppe Guerini, si sono astenuti. Dunque, animi tesi all’interno della maggioranza. In particolare tra le varie correnti del partito democratico. Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Rosy Bindi, il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia, Ileana Argentin, l’ex ministro Massimo Bray, Alfredo Dattorre, Davide Zoggia e Barbara Pollastrini, invece, sono alcuni dei 29 deputati del Pd che alla fine hanno espresso la loro contrarietà al jobs act uscendo dal’Aula della Camera.

“Abbiamo apprezzato l’impegno della commissione Lavoro e riconosciuto i passi avanti compiuti su singole norme”, ma, spiegano in una dichiarazione, “l’impianto complessivo del provvedimento rimane non convincente. La parte che dovrebbe allargare diritti e tutele è tuttora generica e senza risorse: il disboscamento della giungla dei contratti precari viene rinviato a valle di una ricognizione da svolgere in tempi indefiniti e senza identificare obiettivi impegnativi; alla riforma delle politiche attive e passive per il lavoro, in particolare l’avvio di ammortizzatori sociali per gli esclusi, il cardine del provvedimento, si dedicano solo 200 milioni di euro a fronte della promessa dote iniziale di 1,5 miliardi per il 2015”. E poi “si cancella la possibilità del reintegro per chi viene licenziato senza giustificato motivo mentre si prevede un canale per specifiche, ma ancora indefinite, fattispecie di violazioni disciplinari”. Ma ciò che preoccupa gli esponenti del Pd è “il cedimento culturale all’idea che la libertà di impresa coincida con vincoli da abolire per consentire finalmente il diritto di licenziare”.

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Area Dem era pronta a disertare l’Aula. Pippo Civati, come da annunci, ha votato contro. Con lui anche Stefano Fassina. Bersani che s’incazza se gli si dà del conservatore, assicura di aver votato sì, che voterà a favore, “per convinzione o per disciplina”, a seconda delle parti della delega. Ma l’ex segretario democratico rivendica la necessità di “lasciare alla sensibilità di ciascuno” se seguire o meno le indicazioni di partito. A margine di una riunione della minoranza Dem non si esclude l’ipotesi di un documento, per mettere nero su bianco le ragioni della scelta. Sarebbero comunque una trentina i deputati determinati a distinguersi dalla linea ufficiale. “Io sono per il voto contrario, ma quello che più mi preme è capire la qualità e la quantità del dissenso e non c’è alcun motivo per dividersi sulle modalità con il quale viene espresso”, osserva Civati. Matteo Orfini, presidente del Pd, fa un appello in extremis ai dissidenti: “Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità, si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula”, aggiunge. Vuole unità. Diversamente per Gianni Cuperlo non ci sono le condizioni per il sì: “Noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole su Jobs act”, annuncia il deputato dem, che caldeggia l’ipotesi di non esprimere il voto sul testo. “Il punto a cui si è arrivati – sottolinea – non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare, ma come assumere”.

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