Prevenzione oncologica donne, 87% fa almeno un test ogni 2-3 anni

28 marzo 2019

L’87% delle donne tra i 30 e i 65 anni ha effettuato almeno un esame specialistico di prevenzione oncologica negli ultimi 2-3 anni, ma la percentuale aumenta tra le persone che adottano uno stile di vita sano e hanno una maggiore propensione culturale alla tutela della salute. Lo evidenzia Silvia Zucconi, responsabile market intelligence di Nomisma, che ha curato, su un campione di 1.300 donne di tutto il territorio nazionale, una ricerca per UniSalute, prima assicurazione sanitaria in Italia per clienti gestiti: “È una quota elevatissima quella delle donne che partecipano ad almeno uno degli esami di screening. Questo è un punto molto positivo, è evidente che però ci sono anche tanti ambiti di lavoro: ci sono anche delle differenze molto importanti nei diversi profili sociodemografici delle donne in funzione delle tipologie di esame, una fra tutte la differenza tra la propensione alla prevenzione tra le donne del Nord e quelle del Sud”.

È la conseguenza della diversa efficacia dei programmi di screening nelle Regioni, ma anche delle diverse abilità cognitive, sociali, emotive e relazionali che ci permettono di affrontare le sfide quotidiane. Una propensione culturale, in altre parole, alla quale si affianca lo stile di vita, come testimonia il food mentor e portavoce della fondazione Umberto Veronesi, Marco Bianchi: “Dovremmo assolutamente combattere questi cattivi comportamenti proprio perché nella pigrizia, nella paura di non effettuare un particolare esame, si può ovviamente nascondere la possibilità di trovare anche di trovare un piccolo tumore in fase nascente quindi combattere oggigiorno in piccole dimensioni queste patologie vuol dire davvero guadagnare salute e vita”.

Le visite effettuate per mammografie, Pap-Test o Hpv sono giudicate complessivamente soddisfacenti e una quota importante di donne si rivolge alla sanità privata. Per questo, sottolinea l’amministratore delegato di UniSalute, Fiammetta Fabris, è importante che, nell’interesse di tutti, ci sia maggiore collaborazione tra il settore privato e il Servizio sanitario nazionale: “Se siamo noi a fare alcuni screening di prevenzione riteniamo che questi possano anche essere condivisi con i medici curanti quindi, da questo punto di vista, possano portare da una parte un risparmio anche al pubblico, ma soprattutto una condivisione di valori e di valutazioni, cercando in realtà di fare sempre più ed efficacemente della prevenzione”. Una collaborazione tanto più essenziale, anche in termini di sostenibilità economica del sistema sanitario, se si pensa che le neoplasie sono la seconda causa di morte dopo le patologie cardio-circolatorie e che nel 2030 una persona su quattro in Italia avrà più di 65 anni.

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