Scarcerazioni boss, passo indietro di Bonafede. Ecco il nuovo decreto

Scarcerazioni boss, passo indietro di Bonafede. Ecco il nuovo decreto
Alfonso Bonafede
10 maggio 2020

Dopo giorni di durissime polemiche sulle scarcerazioni dei boss nei confronti del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il consiglio dei Ministri ha varato sabato notte il decreto che punta a limitare i danni. Una sorta di mezzo passo indietro del Conte 2 e che fissa le nuove regole per le scarcerazioni dei mafiosi e stabilisce che esse dovranno essere verificate ogni 15 giorni per capire se i presupposti che le hanno giustificate sono ancora valide, alla luce delle mutate condizioni dell’emergenza sanitaria. La rivalutazione diventa immediata, anche prima della decorrenza dei termini indicati, se si identifica una struttura carceraria o reparti di medicina protetti adeguati alle condizioni di salute del detenuto. Prevista anche la possibile ripresa dei colloqui “di presenza” in carcere, a seconda delle situazioni sanitarie locali. Un Cdm voluto proprio da Bonafede a seguito delle 400 scarcerazioni decise dai magistrati di sorveglianza in un mese e mezzo. Detenzioni domiciliari, per gravi ragioni di salute in considerazione dell’emergenza coronavirus, che hanno portato fuori dalle carceri anche boss di mafia, camorra e ndrangheta, e che sono costate le dimissioni di Francesco Basentini dalla guida del Dap (che ora sarà guidato da Bernardo Petralia: il Cdm ha formalizzato la nomina). Lo scorso 29 aprile il primo intervento con un decreto che si è occupato dei casi futuri.

“Nessuno può pensare di approfittare dell’emergenza sanitaria per uscire dal carcere”, ha detto Bonafede subito dopo il Cdm, ribadendo “con fermezza quanto lo Stato sia impegnato nella lotta alla mafia”. Un’accelerazione che serve al ministro per recarsi tra martedì e mercoledì in Parlamento con “il problema risolto” a relazionare su quanto accaduto. Per il premier Conte il Guardasigilli non si tocca, ma a breve dovrà affrontare una mozione di sfiducia presentata dal centrodestra, con Iv che non intende sciogliere la riserva se non avrà rassicurazioni sulla prescrizione. Il decreto di ieri sera è di pochi articoli in base ai quali entro 15 giorni saranno rivalutate le scarcerazioni già disposte e legate all’emergenza coronavirus. Il magistrato dovrà prima acquisire il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al 41-bis, il cosiddetto carcere duro. Solo dopo potrà valutare se persistono i presupposti per la detenzione domiciliare. Ovvero se permangono “i motivi legati all’emergenza sanitaria”.

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La valutazione sarà fatta “immediatamente”, anche prima dei 15 giorni, nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in ospedali ordinari adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena. In ogni caso l’autorità giudiziaria, prima di provvedere dovrà sentire l’autorità sanitaria regionale, cioè il Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale. E acquisire dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni sull’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’internato, ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena, può riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio.

IL COMUNICATO DI PALAZZO CHIGI

Ieri sera è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto legge del ministro della giustizia Alfonso Bonafede che fissa le nuove regole per le scarcerazioni dei mafiosi di cui si è discusso sino ad oggi. “Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso o terroristico o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati (decreto-legge)”, si legge nel comunicato diramato da Palazzo Chigi.

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Il decreto, si legge ancora nella nota del governo, “modifica il regime relativo al beneficio della detenzione domiciliare per gli imputati in custodia cautelare e per i condannati, nonché, per questi ultimi, a quello del differimento della pena, nei casi di reati associativi a fini sovversivi, di terrorismo, di tipo mafioso o connessi al traffico di stupefacenti. Il testo prevede che, nel caso in cui tali benefici siano concessi per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e, in specifici casi, del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile. La valutazione è effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini indicati, nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena“.

Inoltre, “il testo prevede che, ai fini dell’eventuale revoca del beneficio, l’autorità giudiziaria debba prima sentire l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale e acquisire, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena possa riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute. L’autorità giudiziaria provvede quindi a valutare se permangano i motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento di pena, nonché la disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell’internato. Il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria revoca la detenzione domiciliare o il differimento della pena è immediatamente esecutivo. Tale normativa si applica anche ai provvedimenti già adottati“.

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Infine, conclude Palazzo Chigi, “il decreto prevede che, al fine di consentire il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie idonee a prevenire il rischio di diffusione del Covid-19, negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni, a decorrere dal 19 maggio e sino al 30 giugno 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati, possono essere svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica. Il direttore dell’istituto penitenziario e dell’istituto penale per minorenni, sentiti, rispettivamente, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e il dirigente del centro per la giustizia minorile, nonché l’autorità sanitaria regionale in persona del Presidente della Giunta della Regione stabilisce, nei limiti di legge, il numero massimo di colloqui da svolgere con modalità in presenza, fermo il diritto dei condannati, internati e imputati ad almeno un colloquio al mese in presenza di almeno un congiunto o altra persona“.

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