Scontri a Los Angeles: Trump invia la guardia nazionale contro le proteste pro-immigrati

Tensione alle stelle nella metropoli californiana dove, per la prima volta dal 1965, la Casa Bianca ha dispiegato la Guardia Nazionale di uno Stato federato senza alcuna richiesta formale delle autorità locali. Il presidente Donald Trump ha ordinato l’invio di circa 300 soldati della Guardia Nazionale della California a Los Angeles per fronteggiare le violente proteste esplose in seguito ai massicci raid dell’ICE contro gli immigrati in situazione irregolare.

La decisione presidenziale segna un momento di rottura istituzionale senza precedenti nella storia recente americana, alimentando uno scontro politico che va ben oltre i confini della California e assume contorni nazionali.

L’escalation della violenza

La miccia è scattata tra venerdì e sabato scorso, quando gli agenti federali hanno condotto una serie di operazioni che hanno portato all’arresto di oltre 150 migranti irregolari. Le retate, concentrate principalmente nel quartiere della moda di Los Angeles e nella cittadina di Paramount – abitata prevalentemente da famiglie latinoamericane – hanno immediatamente scatenato manifestazioni di solidarietà che sono rapidamente degenerate in scontri di piazza.

Le immagini trasmesse dalle televisioni nazionali mostrano scene di guerriglia urbana: manifestanti che lanciano pietre, bottiglie e fuochi d’artificio contro le forze dell’ordine, mentre soldati della Guardia Nazionale rispondono con lacrimogeni, proiettili al peperoncino e granate stordenti. Un quadro che Trump ha definito come “rivolte di invasori stranieri che sventolano orgogliosamente le bandiere dei loro Paesi d’origine”.

Lo scontro istituzionale

Il governatore democratico della California, Gavin Newsom, non ha nascosto la propria indignazione per quella che considera un’ingerenza federale illegittima. Su X, Newsom ha bollato come “intenzionalmente provocatoria” la mossa di Trump, esortando i manifestanti a non cadere nella trappola e a evitare categoricamente la violenza.

La California, storicamente bastione democratico e roccaforte delle politiche pro-immigrazione, si trova ora al centro di un braccio di ferro istituzionale che potrebbe avere ripercussioni costituzionali. Los Angeles, infatti, è una delle cosiddette “città santuario” dove circa il 30% della popolazione è composta da immigrati che godono di protezione anche da parte delle autorità locali – una realtà che la nuova amministrazione Trump intende smantellare con ogni mezzo.

Minacce di arresto per i funzionari locali

L’escalation ha raggiunto livelli drammatici quando Tom Homan, lo “zar dei confini” nominato da Trump per coordinare il piano di deportazioni di massa, ha minacciato esplicitamente di far arrestare il governatore Newsom e la sindaca di Los Angeles Karen Bass.

“È un reato federale nascondere e dare consapevolmente rifugio a un immigrato clandestino”, ha dichiarato Homan a NBC News, aggiungendo che tutti gli amministratori che impediranno le operazioni potrebbero essere perseguiti dal Dipartimento di Giustizia. Una minaccia che ha trovato eco nelle parole dello stesso Trump, che ha dichiarato: “Chi ostacola le deportazioni sarà perseguito. I funzionari che ostacolano la legge e l’ordine finiranno davanti a un giudice”.

L’ombra dei Marines

Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha ulteriormente inasprimento la tensione minacciando su X di mobilitare anche i Marines della base di Camp Pendleton se la violenza dovesse persistere. “Sono in stato di massima allerta”, ha scritto, aggiungendo che “sotto il presidente Trump, violenza e distruzione contro agenti e strutture federali non saranno tollerate”. Una dichiarazione che Newsom ha definito senza mezzi termini “folle”, evidenziando come la situazione stia assumendo connotati sempre più preoccupanti dal punto di vista dell’ordine costituzionale.

Il clima di terrore nelle comunità latinoamericane

Sul territorio, intanto, si registra un clima di autentico terrore nelle comunità immigrate. I residenti di Paramount e del quartiere della moda hanno denunciato un’atmosfera di caccia all’uomo, con scuole praticamente vuote e attività commerciali serrate per paura delle retate. Le famiglie latinoamericane vivono nell’incubo costante di essere separate dai propri cari, mentre i bambini non frequentano più regolarmente le lezioni per timore di non ritrovare i genitori al rientro.

Gli scontri più violenti si sono verificati proprio a Paramount, dove gli agenti federali stavano allestendo un ufficio temporaneo del Dipartimento della Sicurezza Nazionale nei pressi di un negozio Home Depot. Qui i manifestanti hanno lanciato pietre e blocchi di cemento contro i veicoli della polizia di frontiera, mentre le forze dell’ordine hanno risposto con gas lacrimogeni e proiettili di gomma.

Le accuse di Trump

Il presidente non ha utilizzato mezzi termini per descrivere la situazione. Su Truth Social, la sua piattaforma social, Trump ha scritto: “Los Angeles, un tempo grande città americana, è stata invasa e occupata da immigrati clandestini e criminali. Ora folle violente e insurrezioniste stanno attaccando i nostri agenti federali nel tentativo di fermare le operazioni di deportazione”.

Ha quindi aggiunto: “L’ordine sarà ripristinato, gli immigrati clandestini saranno espulsi e Los Angeles sarà liberata”, utilizzando un linguaggio che richiama quello militare e che ha sollevato preoccupazioni tra i democratici circa una possibile militarizzazione della questione immigrazione. In una conferenza stampa, Trump ha inoltre dichiarato di essere pronto a mandare soldati ovunque, specificando che non permetterà che il Paese venga “fatto a pezzi” e promettendo di essere molto forte in termini di legge e ordine.

La gaffe presidenziale

Un episodio curioso ha caratterizzato la giornata di sabato, quando Trump ha elogiato su Truth Social l’ottimo lavoro della Guardia Nazionale mentre in realtà nessun soldato era ancora arrivato in città. La sindaca Karen Bass non ha perso l’occasione per sottolinearlo: “Voglio ringraziare la polizia di Los Angeles per il lavoro svolto. Per essere chiari, la Guardia Nazionale non è stata schierata a Los Angeles”, ha scritto su X, evidenziando l’incongruenza delle dichiarazioni presidenziali.

L’intervento del Messico

La crisi ha assunto anche una dimensione internazionale con l’intervento della presidente messicana Claudia Sheinbaum, che ha preso le difese dei propri connazionali dichiarando che “i messicani che vivono negli Stati Uniti sono uomini e donne onesti. Non sono criminali”. Una dichiarazione che rappresenta una chiara presa di posizione del governo messicano contro la retorica trumpiana e che potrebbe complicare ulteriormente i rapporti bilaterali tra i due Paesi.

La situazione attuale

Alle 4 del mattino di oggi, i soldati della Guardia Nazionale sono finalmente arrivati nel centro di Los Angeles, ripresi dalle telecamere dei principali network televisivi. I 300 militari sono stati dispiegati in tre diverse località della città, con un dispositivo che include anche blindati e mezzi corazzati. In serata, i soldati hanno lanciato nuovamente gas lacrimogeni contro i manifestanti radunati ad Alameda, mentre fuori dal Metropolitan Detention Center sono stati utilizzati proiettili al peperoncino per disperdere i dimostranti.

Diversi manifestanti sono stati arrestati durante la notte per essere rientrati in aree precedentemente dichiarate off-limits dalle autorità. Le operazioni dell’ICE continuano senza sosta: nella sola settimana passata si sono registrati oltre 100 arresti di immigrati irregolari, con nuove retate programmate per i prossimi giorni. Tra gli arrestati figura anche un importante leader sindacale, accusato di aver ostacolato le forze dell’ordine durante le operazioni.

Verso una crisi costituzionale

La situazione a Los Angeles rappresenta solo la punta dell’iceberg di quello che potrebbe trasformarsi in uno scontro costituzionale di proporzioni storiche. Con Trump determinato a portare avanti il suo programma di deportazioni di massa e gli Stati democratici altrettanto risoluti nel proteggere le proprie comunità immigrate, il Paese sembra avviarsi verso una frattura istituzionale dalle conseguenze imprevedibili. Gli analisti politici osservano con preoccupazione l’evolversi della situazione, temendo che quello che sta accadendo in California possa replicarsi in altri Stati santuario come New York, Illinois e Washington.

La tenuta del sistema federale americano appare oggi messa alla prova come non accadeva da decenni, con il rischio concreto di una paralisi istituzionale che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini nazionali. Il confronto tra l’amministrazione federale e le autorità locali democratiche sembra destinato a intensificarsi nelle prossime settimane, con possibili sviluppi che potrebbero ridefinire gli equilibri del potere negli Stati Uniti e mettere in discussione alcuni principi fondamentali del federalismo americano.