Spiare i messaggi WhatsApp altrui può costare fino a 10 anni di carcere

La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che segna un punto di svolta nella tutela della privacy digitale: spiare i messaggi WhatsApp altrui può costare fino a dieci anni di carcere. La decisione, pubblicata il 5 giugno 2025, arriva dopo il caso di un uomo di Messina che, nel tentativo di raccogliere prove contro la ex moglie durante una causa di separazione, ha violato la sua riservatezza accedendo illegalmente ai suoi telefoni protetti da password.

Il caso che ha fatto giurisprudenza

La vicenda nasce da una separazione coniugale degenerata in un vero e proprio stalking digitale. L’uomo aveva scaricato screenshot delle chat WhatsApp e i registri delle chiamate della ex moglie, utilizzandoli come prove nel procedimento civile. La donna, però, lo aveva denunciato per molestie e controllo sistematico, accusandolo anche di aver diffuso i messaggi privati a terzi, tra cui i suoi genitori, per insinuare una presunta relazione extraconiugale. La Corte Suprema ha stabilito che accedere senza autorizzazione a un dispositivo protetto costituisce reato di accesso abusivo a sistema informatico.

WhatsApp come sistema informatico e tutela della privacy digitale

La sentenza rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui la giurisprudenza italiana considera le comunicazioni digitali. WhatsApp è stato riconosciuto come un vero e proprio sistema informatico, con le chat equiparate alla corrispondenza tradizionale, godendo quindi della stessa protezione legale. La Corte ha inoltre chiarito che la semplice conoscenza della password non autorizza accessi successivi contrari alla volontà del proprietario, e che ogni autorizzazione ha limiti precisi di tempo e scopo.

Le sanzioni previste

Il reato di accesso abusivo a sistema informatico può comportare fino a tre anni di reclusione nella forma base, ma la pena può salire fino a dieci anni in presenza di circostanze aggravanti. La violazione della corrispondenza è punita con pene fino a un anno o con multe, aggravate fino a tre anni se si rivela il contenuto. Inoltre, la diffusione non autorizzata di messaggi può configurare reati di trattamento illecito di dati personali, diffamazione o revenge porn.

Implicazioni per le cause matrimoniali e la società digitale

Questa sentenza ha un impatto diretto sulle cause di separazione e divorzio, impedendo l’uso in tribunale di chat ottenute illegalmente. Come sottolinea l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, le indagini dovranno rispettare la legalità e passare attraverso investigazioni autorizzate. In un’epoca in cui il controllo digitale è sempre più diffuso, la decisione riafferma il diritto inviolabile alla privacy anche nelle relazioni più intime, sottolineando la necessità di adeguare il diritto penale alle nuove sfide della tecnologia.

In conclusione, la sentenza della Cassazione sancisce un principio chiaro: la privacy digitale è un diritto protetto dalla legge, e violarla, anche con motivazioni personali o probatorie, è un reato grave che può portare a pesanti conseguenze penali.