Trump congela l’attacco all’Iran: la paura di una “nuova Libia” frena la Casa Bianca
Il presidente statunitense posticipa di due settimane la decisione su un intervento militare contro i siti nucleari iraniani. Il timore di destabilizzare il Medio Oriente e di ripetere gli errori delle guerre passate spinge Washington a puntare sulla diplomazia, mentre la tensione tra Israele e Iran resta altissima.
Ayatollah Ali Khamenei
Un attacco militare americano contro i siti nucleari iraniani sembrava ormai imminente. E invece, con una mossa a sorpresa, Donald Trump ha deciso di rinviare ogni decisione di almeno due settimane. Una scelta che riflette paure profonde e calcoli geopolitici: il presidente degli Stati Uniti, secondo fonti interne alla Casa Bianca, teme di trasformare l’Iran in una “nuova Libia”, con tutte le conseguenze che il mondo ha già visto dopo l’intervento NATO del 2011. Oggi, mentre la tensione tra Israele e Iran resta alle stelle e le cancellerie internazionali si muovono per evitare una catastrofe, la Casa Bianca si prende tempo. E il Medio Oriente trattiene il fiato.
Il fantasma della Libia: la lezione che ossessiona Washington
“Non vuole che l’Iran si trasformi in un’altra Libia”, confida una fonte vicina all’amministrazione Trump. Il riferimento è chiaro: nel 2011, l’intervento militare occidentale voluto dalla Francia e sostenuto dagli Stati Uniti sotto la presidenza Obama portò alla caduta del colonnello Gheddafi. Ma il risultato fu un decennio di anarchia, milizie armate, traffico di esseri umani e il collasso delle strutture statali. Una ferita ancora aperta che pesa sulle scelte di oggi.
“Ci sono due ragioni per cui Trump cita spesso la Libia”, spiega una fonte al Post. “Primo, il caos seguito alla caduta di Gheddafi; secondo, il fatto che quell’intervento ha reso più difficile negoziare con regimi come Iran o Corea del Nord”. In altre parole, la Casa Bianca teme che un nuovo intervento militare possa non solo destabilizzare la regione, ma anche chiudere ogni spiraglio di dialogo con Teheran e altri regimi ostili.
Un presidente tra memoria storica e pressioni globali
Trump non ha mai nascosto la sua avversione alle “guerre infinite” che hanno segnato la politica estera americana negli ultimi vent’anni. L’invasione dell’Iraq del 2003, da lui definita “la peggiore decisione della storia americana”, e la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan sono costanti punti di riferimento nei suoi ragionamenti strategici.
Oggi, di fronte all’ipotesi di un nuovo intervento militare, il presidente USA appare determinato a non ripetere gli errori del passato. Il leader supremo iraniano Ali Khamenei, al potere da 35 anni, ricorda per longevità e rigidità Gheddafi. Ma il rischio di un vuoto di potere e di un’escalation incontrollabile frena la mano della Casa Bianca.
Diplomazia in movimento: la partita si gioca tra Ginevra e Washington
Nonostante il rinvio, la minaccia della forza resta sul tavolo. Una delle opzioni discusse nei briefing della sicurezza nazionale è un attacco mirato con bombe “bunker buster” da 30.000 libbre, in grado di colpire impianti nucleari sotterranei come Fordow e Natanz, ben protetti e inaccessibili agli armamenti israeliani. Tuttavia, la Casa Bianca insiste: nessun cambio di regime, nessun coinvolgimento in una guerra lunga e sanguinosa.
“Se il regime crolla, non sarà per colpa sua”, sottolinea un funzionario. La portavoce Karoline Leavitt ha confermato ieri che il presidente ha scelto di prendersi tempo “in virtù di una reale possibilità di negoziati con l’Iran nel prossimo futuro”.
Nel frattempo, l’inviato speciale Steve Witkoff mantiene contatti informali con la controparte iraniana, mentre il ministro degli Esteri Abbas Araghchi è oggi a Ginevra per incontrare i colleghi di Regno Unito, Francia, Germania e l’Alto rappresentante UE.
Il Medio Oriente sull’orlo del baratro: missili, morti e diplomazia
Mentre la diplomazia lavora febbrilmente, la guerra nei cieli tra Israele e Iran entra nella seconda settimana. Secondo l’agenzia Human Rights Activists News Agency, i raid israeliani avrebbero causato 639 morti in Iran, tra cui alti ufficiali militari e scienziati nucleari. Reuters riporta almeno venti civili israeliani uccisi dai missili di Teheran, ma l’agenzia precisa di non aver potuto verificare in modo indipendente queste cifre.
A Ginevra, i ministri degli Esteri europei provano a fermare la spirale di violenza. “Ora è il momento di fermare le gravi immagini che arrivano dal Medio Oriente. Un’escalation regionale non gioverebbe a nessuno”. avverte il ministro britannico David Lammy. L’Italia, per voce del ministro Tajani, ribadisce la contrarietà a un Iran nucleare e sollecita una rapida de-escalation.
Il grande gioco delle potenze: tra minacce, alleanze e telefonate
Sul fronte internazionale, la pressione cresce. Il segretario di Stato USA Marco Rubio incontra i leader di Australia, Francia e Italia, mentre il ministro Tajani dialoga sia con gli alleati che con l’omologo iraniano. Da Mosca e Pechino arriva una condanna netta di Israele e un appello alla de-escalation: Putin e Xi Jinping, dopo una lunga conversazione telefonica, chiedono la fine delle ostilità e difendono la stabilità regionale.
A Washington, Trump partecipa oggi a un vertice del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, mentre il suo inviato speciale Steve Witkoff prosegue i contatti con la diplomazia iraniana. Il presidente alterna minacce – come la possibilità di usare bombe “bunker buster” su obiettivi chiave – a inviti al dialogo, lasciando aperta ogni opzione.
Il dramma sul campo: Israele sotto attacco, la popolazione in allarme
Intanto, la tensione resta altissima sul terreno. L’esercito israeliano ha emesso stamattina un avviso di attacco missilistico imminente. Un razzo ha colpito la città meridionale di Be’er Sheva, danneggiando palazzi residenziali, uffici e impianti industriali. Le immagini trasmesse dalla tv israeliana mostrano auto in fiamme e vetrate distrutte. Almeno sei persone hanno riportato ferite, per fortuna lievi.
Il bivio della storia: diplomazia o guerra?
Il conto alla rovescia è iniziato. Le prossime due settimane saranno decisive per il futuro del Medio Oriente e per il ruolo degli Stati Uniti nella regione. Trump si trova davanti a un bivio storico: cedere alle pressioni militari o insistere sulla via della diplomazia? Ripetere gli errori del passato o scrivere una pagina nuova nella tormentata storia delle relazioni internazionali?
Il mondo osserva, trattenendo il fiato. La scelta della Casa Bianca potrebbe segnare non solo il destino dell’Iran, ma anche quello dell’intero equilibrio globale. “La storia non perdona chi dimentica le sue lezioni”, ammoniva uno statista del passato. Oggi, più che mai, la memoria delle guerre passate pesa sulle decisioni di chi ha il potere di accendere – o spegnere – la miccia di un nuovo conflitto.