Conclave, 131 cardinali già a Roma. Santa Marta rifatta senza sponsor
Sono 131, su 133 previsti, i cardinali elettori già giunti a Roma per il Conclave che si aprirà il prossimo 7 maggio. Nella mattinata di oggi, 127 di loro hanno partecipato alla nona Congregazione generale, svoltasi nell’Aula nuova del Sinodo, un segno di forte coesione nel corpo cardinalizio in un momento cruciale per il futuro della Chiesa.
A confermarlo è stato il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, che ha anche illustrato i dettagli organizzativi della prossima fase: i cardinali faranno ingresso a Casa Santa Marta, sede del Conclave, tra la sera del 6 maggio e la mattina seguente, prima della celebrazione della Messa “Pro eligendo Pontifice”, prevista nella Basilica di San Pietro.
Con puntualità vaticana, Bruni ha anche chiarito che i lavori di ristrutturazione di Casa Santa Marta e della parte accessoria detta “Santa Marta Vecchia” termineranno entro il 5 maggio. Nessun finanziamento esterno è stato previsto: tutte le spese sono coperte dalla Santa Sede, sotto la supervisione del Camerlengo, il cardinale Kevin Farrell. Un dettaglio non secondario, che testimonia la volontà della Chiesa di mantenere totale autonomia e sobrietà nel processo di discernimento.
Nel corso della Congregazione di oggi, è stato sorteggiato il gruppo che comporrà la “Congregazione particolare”, incaricata di gestire l’organizzazione logistica del Conclave, compresa l’assegnazione delle stanze. Ne faranno parte i cardinali Reinhard Marx, Robert Francis Prevost e Marcello Semeraro.
Verso il Conclave tra incertezze e venti d’Oltreoceano
Come in ogni vigilia di Conclave, anche questa volta impazza il “borsino dei papabili”, quel gioco antico ma mai scontato di previsioni e suggestioni. Ma il contesto attuale rende il discernimento particolarmente arduo: il collegio cardinalizio, fortemente rinnovato da Papa Francesco, ha oggi una geografia molto più globale, meno centrata sull’Europa e sull’Occidente.
A rendere ancora più fluido il quadro contribuisce una geopolitica in convulsione – “una guerra mondiale a pezzi”, per usare le parole dello stesso Francesco – e, paradossalmente, anche l’eco proveniente da ambienti religiosi vicini al mondo dell’ex presidente americano Donald Trump. Voci e suggestioni che, seppur non ufficialmente commentate, sono rientrate nei ragionamenti di alcuni cardinali, soprattutto in relazione al ruolo della Chiesa nel confronto tra universalismo e nazionalismi.
Alcuni analisti suggeriscono che questo “effetto-Trump”, lungi dal rafforzare l’area conservatrice, potrebbe paradossalmente produrre una spinta opposta: un’esigenza di continuità col pontificato di Francesco, percepito oggi più che mai come un argine morale contro la frammentazione e la radicalizzazione.
Il peso dello spirito di Francesco
Nelle parole di Bruni, è emersa una forte riconoscenza per l’opera di Papa Francesco, recentemente scomparso. I cardinali hanno ribadito il desiderio di custodire e proseguire i processi avviati nel suo pontificato: dalla centralità della pace al valore dell’educazione, dalla sinodalità al messaggio profetico di una Chiesa “in uscita”.
Un’indicazione, questa, che sembra orientare il prossimo Papa verso la continuità più che verso una rottura. Tuttavia, nessun nome si è ancora imposto. A confermarlo, con toni quasi poetici, è stato il cardinale Claudio Gugerotti, ex prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali: “Siamo dei fiori… Un po’ da innaffiare, ma siamo dei fiori. Lo Spirito Santo fa tanti scherzi… Ma serve tanta acqua”.
Un’immagine che fotografa alla perfezione il momento: un collegio cardinalizio ancora in cerca di un nome, ma già immerso in un discernimento profondo, segnato dal desiderio di rispondere alla sete di speranza del mondo.