Nobel per l’Economia assegnato a Banerjee, Duflo e Kremer

14 ottobre 2019

Il premio Nobel per l’economia è stato assegnato all’indiano Abhijit Banerjee, alla feancese Esther Duflo e allo statunitense Michael Kremer. I primi due studiosi sono in forza al Mit di Boston e il terzo all’ateneo di Harvard. Il segretario generale dell’Accademia svedese delle scienze, nell’annunciare il riconoscimento ai tre studiosi l’ha motivato con il loro “approccio sperimentale nell’alleviare la povertà globale”. “La ricerca condotta dai vincitori di quest’anno ha notevolmente migliorato la nostra capacità di combattere la povertà globale. In soli due decenni, il loro nuovo approccio fondato su esperimenti ha trasformato l’economia dello sviluppo, che ora è un fiorente campo di ricerca “, si legge nelle motivazioni per il conferimento del premio diffuse dall’Accademia svedese.

Banerjee, nato nel 1961 in India, ha conseguito il dottorato di ricerca nel 1988 presso l’Università di Harvard. Duflo, che è diventata la seconda donna a vincere il premio Nobel per l’economia, è nata nel 1972 a Parigi e ha conseguito il dottorato nel 1999 presso il MIT. Kremer, nato nel 1964, ha ottenuto il dottorato da Harvard nel 1992. I tre sono stati riconosciuti per la loro capacità di dividere il vasto problema della lotta alla povertà globale in temi più circoscritti, ha affermato il comitato. “A metà degli anni ’90 – si legge ancora nelle motivazioni – Michael Kremer e i suoi colleghi hanno dimostrato quanto potente possa essere questo approccio, utilizzando esperimenti sul campo per testare una serie di interventi che potrebbero migliorare i risultati scolastici nel Kenya occidentale”.

“Abhijit Banerjee ed Esther Duflo, spesso con Michael Kremer, hanno presto condotto studi simili su altre questioni e in altri paesi. I loro metodi di ricerca sperimentale ora dominano interamente l’economia dello sviluppo “. Le teorie sviluppate dai vincitori assumono sovente un rango diverso dopo la consegna di un Nobel, il che può determinare una maggiore influenza su settori come le politiche governative e le strategie di investimento. Il premio dell’anno scorso venne assegnato a William Nordhaus della Yale University e a Paul Romer della Stern School of Business di New York per aver studiato l’impatto a lungo termine delle questioni climatiche e dell’innovazione tecnologica nel campo dell’economia. Tra i precedenti vincitori del Nobel per l’Economia figurano economisti illustri come Milton Friedman, Paul Krugman, Eugene F. Fama e Friedrich August von Hayek, tra gli altri. Nel 2009, tre anni prima della sua morte, Elinor Ostrom è entrata nella storia diventatndo la prima donna a ricevere un Nobel in economia, con un premio condiviso con Oliver Williamson per la loro ricerca sui limiti dei mercati.

LA RICERCA SUL CAMPO DELLA POVERTA

Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer, tutti e tre economisti specializzati nella ricerca sul campo della lotta alla poverta’, rappresentano la dimostrazione concreta di come, nella fase attuale, chi assegna i premi Nobel per l’economia prediliga l’economia applicata ai modelli teorici. Banerjee, sua moglie Esther Duflo e – in misura minore – Kremer sono infatti degli economisti ma anche degli sperimentatori pratici sul campo. “E’ quello che cerchiamo di fare da 15 anni – si legge nella prefazione di “Poor economics. A radical rethinking of the way to fight global poverty”, il libro scritto nel 2011 a due mani da Banerjee e Duflo – Siamo accademici e in quanto tali formuliamo teorie e analizziamo dati. Ma la natura del nostro lavoro ci ha anche fatto passare parecchi mesi sul campo, nel corso di questi anni, fianco a fianco di volontari delle Ong, funzionari di governo, operatori sanitari ed erogatori di microprestiti; ovvero fianco a fianco dei poveri, in vicoli e villaggi”.

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CHE COSA E’ LA RICERCA SUL CAMPO IN ECONOMIA La ricerca sul campo, cioe’ lo studio in loco dei Paesi poveri e dei modi per finanziare il loro sviluppo, dimostra che non serve dare soldi a pioggia a questi Paesi, ma occorre prima verificare cio’ di cui hanno veramente bisogno. Per esempio i dati raccolti da Banerjee e Duflo in 18 paesi rivelano che coloro che vivono con un dollaro o anche meno al giorno non patiscono la fame. Se fossero affamati spenderebbero tutti i loro redditi in generi alimentari. Ma non e’ cosi’. il cibo rappresenta tra il 36% e il 79% del consumo dei poveri che vivono in campagna, e tra il 53% e il 74% di quelli che vivono nelle citta’. Per ogni 1% di aumento dei redditi, ne consumano in cibo soltanto lo 0,67%. Insomma, cio’ che veramente serve per finanziare i Paesi poveri e’ farsi la domanda giusta, come ad esempio: perche’ un uomo che vive in Marocco, in condizioni di sottoalimentazione, si indebita per comprare un televisore? Oppure, perche’ i bambini in molti Paesi dell’Africa non vanno a scuola? Ecco, in questo caso la ricerca sul campo ha dimostrato che le assenze scolastiche non dipendono dalla mancanza di scuole, o di maestri, o di libri, ma dal fatto che molti bambini in Kenya hanno i vermi e che questo li fa ammalare e non andare a scuola. Per cui non serve a niente spendere i soldi degli aiuti per rifornirli di matite, o di quaderni, ma sarebbe molto piu’ utile investire gli aiuti in laboratori medici e in medicinali per prevenire e per curare queste infestazioni prevalentemente di tipo gastro-intestinale.

HANNO CONSENTITO DI ANDARE OLTRE PIANIFICAZIONE E ‘WASHINGTON CONSENSUS’ Da un punto di vista piu’ generale cio’ che caratterizza e maggiormente qualifica l’attivita’ di questi tre economisti e’ il fatto che sono dei pionieri di un approccio all’economia dello sviluppo di tipo nuovo, basato sulla ricerca sul campo, che ha consentito di abbandonare i due orientamenti precedenti e cioe’ sia quello basato sulla pianificazione e sull’intervento pubblico, sia il cosiddetto ‘Washington consensus’ e cioe’ un approccio fondato su una fiducia estrema nel funzionamento del mercato, che pero’ doveva essere valido per tutti i Paesi e che negli anni Settanta era tipico di organismi come il Fondo monetario. “Entrambi questi approcci – spiega l’economista Francesco Ferrante – per ragioni diverse, non hanno prodotto i risultati sperati”. Nei primi anni del 2000 Banerjee, Duflo e Kremer hanno introdotto un terzo approccio all’economia dello sviluppo, “molto piu’ laico ed ecclettico” spiega Ferrante, basato “sull’idea che si debba andare a verificare sul campo quali sono i fattori che determinano lo sviluppo e il sottosviluppo, quali sono le rigidita’, le barriere da superare e quali gli strumenti da adottare per farlo”.

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“Il loro approccio – spiega ancora l’economista – mira a verificare empiricamente quali sono i fattori che possono influenzare lo sviluppo, sia per quanto riguarda i mercati, sia per quanto riguarda le istituzioni. Facciamo un esempio: il credito. Loro verificano che l’accesso al credito rappresenta un problema concreto nei Paesi in via di sviluppo per i piccoli imprenditori. E dimostrano che la microfinanza e’ uno strumento concreto che puo’ aiutare a superare questo problema e ad allargare l’accesso al credito dei piccolissimo imprenditori. Ma non si limitano a segnalarlo, vanno li’ sul posto, in Bangladesh, per verificare come effettivamente funziona questo strumento della microfinanza e come si puo’ applicarlo meglio per combattere la poverta’ e la disoccupazione e come strumento per promuovere l’imprenditorialita’. Ecco questa e’ la differenza di approccio rispetto al passato, quando chi si occupava di sviluppo per le grandi agenzie internazionali, sbarcava in un Paese asiatico o africano, alloggiava in grande albergo e, senza verificare come andavano le cose, spesso influenzato da forti pregiudizi, scriveva un report alla Banca mondiale su cosa avrebbe dovuto fare quel Paese per svilupparsi. Ovviamente le ricette erano sempre quelle: liberalizzazione dei mercati, taglio del costo del lavoro… Insomma, cure standard, valide per tutti”.

L’INFLUENZA SU GRANDI ORGANISMI INTERNAZIONALI Banerjee, Duflo e Kremer, “la pensano diversamente, ritengono che le politiche vadano disegnate conoscendo il contesto in cui vanno inserite”. E si tratta di un modo di procedere che non ha ricadute solo scientifiche, ma anche pratiche, concrete, politiche, visto che gran parte dei governi interessati, le Ong e perfino alcuni grandi organismi internazionali, come la Banca mondiale, per decidere il modo di intervenire, di selezionare i finanziamenti e di allocare le risorse tendono ora ad adottare questo approccio e a verificare prima sul campo, con ricerche di mercato, interviste, verifiche empiriche, quali sono i problemi reali, le aspettative, i bisogni, le richieste dei soggetti da aiutare finanziariamente. “Ora per esempio la Banca mondiale – spiega Ferrante – quando deve disegnare degli strumenti di intervento, o dei sussidi, fa prima degli esperimenti per capire come in quel posto le persone rispondono a quella politica, a quegli strumenti. E non e’ un cambiamento da poco, perche’ il vecchio approccio, il cosiddetto ‘Washington consensus’ e’ stato duro a morire e poi, diciamolo chiaro, corrispondeva anche a interessi concreti”.

LA ‘O-RING THEORY DI KREMER In ogni modo il lavoro di Banerjee e di sua moglie Duflo e’ quello piu’ basato sulla ricerca sul campo, mentre quello di Kremer, spiega sempre Ferrante, “ha acquisito fama e visibilita’ per la cosiddetta ‘O-ring theory’, cioe’ la questione delle complementarita’. In poche parole uno dei motivi per cui i Paesi in via di sviluppo o sottosviluppati non si sviluppano e’ perche’, per motivi diversi, non sfruttano le complementarita’ esistenti in un’economia. Faccio un esempio: per poter sviluppare alta tecnologia ho bisogno di capitale umano qualificato, se ho poco capitale umano e poca tecnologia mi trovo in una sorta di trappola da cui non riesco ad uscire. Cio’ significa che in un Paese povero, se voglio sviluppare settori a piu’ alto contenuto di conoscenza devo sfruttare le complementarieta’, e dunque devo agire contemporaneamente su creazione di capitale umano e sugli investimenti tecnologici, devo fare tutte e due le cose non l’una o l’altra. In pratica Kremer dice che occorre incentivare lo Stato a fare la prima mossa, che non e’ pianificare gli investimenti ma investire in istruzione qualificata e in ricerca e sviluppo”.

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LO STUDIO DELLA POVERTA’ SERVE A NON BUTTARE VIA I SOLDI “Dal punto di vista della filosofia politica – spiega Gianfranco Pellegrino, professore di filosofia politica alla Luiss – l’importanza di questi tre economisti riguarda essenzialmente due problemi: quello dell’eguaglianza e quello del livello di poverta’, cioe’ si lega al problema di quanto uno e’ povero rispetto al piu’ ricco e di quanto si e’ poveri realmente. La globalizzazione ha alleviato i problemi della poverta’, cioe’ i poveri sono meno poveri rispetto a prima, ma sono molto piu’ poveri rispetto ai piu’ ricchi. Quello che ci dimostrano i tre Nobel e’ che oggi la poverta’ e’ un problema molto insidioso, che va studiato empiricamente. E questo per motivi molto concreti: per non buttare via i sodi dei finanziamenti destinati a combattere la poverta’ stessa. Per esempio i tre economisti hanno dimostrato che le assenze nelle scuole del Kenya non erano legate alla poverta’ ma alla mancanza di cure per i vermi. I bambini prendono i vermi e non vanno a scuola Per cui, per risolvere il problema della frequenza scolastica, non bisogna investire solo in libri ma anche in cure contro i vermi intestinali. Questo e’ un problema che senza ricerca sul campo nessuno avrebbe mai individuato e quindi, senza le loro sperimentazioni in loco, avremmo continuato a spendere male i soldi per gli aiuti allo sviluppo. Un altro esempio? Eccolo: noi in genere riteniamo che a scuola piu’ le classi sono piccole, piu’ si insegna meglio. Dagli esperimenti che loro hanno fatto in Kenya e in India emerge che, a un certo livello, l’ampiezza delle classi conta poco e l’importante e’ che ci siano professori motivati. Ovviamente si tratta di test locali, che soprattutto Banerjee e Duflo ritengono che non vadano generalizzati. In altre parole, niente modelli teorici generali ma sono sperimentazione su campo”.

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