Trump esce dall’accordo clima ma “pronto a rinegoziare”. E Macron lo stoppa: “Nessuna rinegoziazione”

1 giugno 2017

L’accordo di Parigi “punisce” gli Stati Uniti e “svantaggia” gli americani. Con queste parole, Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dallo storico accordo di Parigi sul clima siglato nel dicembre 2015 aprendo però alla possibilità di iniziere i negoziati per rientrarci o per siglare una intesa ex novo. “Negozieremo per termini più giusti per gli Usa, gli americani e i contribuenti”, ha detto il leader americano dal Rose Garden della Casa Bianca. “Se ce la faremo, bene. Se no, va bene lo stesso”. Il presidente francese archivia subito la pratica: “Non c’e’ nulla di rinegoziabile nell’accordo di Parigi” ha dichiarato Emmanuel Macron nel corso di un colloquio telefonico con Trump.  Sotto l’aspetto formale, però, la richiesta di ritiro dall’accordo di Parigi non potrà essere notificata prima del 4 novembre 2019, e non potrà avere effetto prima di un altro anno. In pratica, a fine 2020, in concomitanza con le prossime elezioni americane. Di certo Trump mantiene così un’altra promessa (almeno a parole) fatta in campagna elettorale. Fino a un certo punto, però: presupponendo un ritiro totale dall’accordo parigino, ci vorranno quattro anni per completare quell’iter e ciò significa che una decisione finale spetterebbe agli americani quando sceglieranno il loro prossimo Commander in Chief nel 2020. Dopo un dibattito acceso che ha praticamente diviso in due la Casa Bianca, ha vinto la linea dei conservatori capitanati da Scott Pruitt, l’amico dei petrolieri diventato numero uno dell’Agenzia per la protezione ambientale americana (Epa), e dallo stratega di ultra destra Steve Bannon. Sconfitti invece sono stati Gary Cohn, l’ex executive di Goldman Sachs diventato capo degli esperti economici della Casa Bianca e il segretario di Rex Tillerson nonché ex Ceo del colosso petrolifero Exxon Mobil (che per altro voleva il rispetto dell’accordo sul clima). La figlia nonché consigliera Ivanka Trump è riuscita solo a fare posticipare la controversa decisione a dopo il primo viaggio all’estero da presidente del miliardario di New York diventato leader Usa: al G7 di Taormina (Sicilia), mentre Trump prendeva tempo, Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito avevano riaffermato il loro “forte” impegno a implementare “velocemente” l’Accordo di Parigi.

A nullo è valso il pressing del Papa Francesco, che nel suo incontro al Vaticano gli aveva dato in dono l’enciclica “Laudato sì” sul cambiamento climatico. La seconda nazione più inquinante al mondo dopo la Cina si sottrae così dagli impegni presi nel dicembre 2015 e firmati nell’aprile 2016 da 195 Paesi (147 li hanno ratificati) e che si era assunta la responsabilità di tagliare del 26% al 28% i livelli delle emissioni entro il 2025 rispetto al 2005. Tra gli impegni che saltano ci sono anche la limitazione dell’innalzamento della temperatura a 1,5-2 gradi Celsius rispetto all’era preindustriale, una revisione degli obiettivi ogni cinque anni e meccanismi di rimborsi per i Paesi più vulnerabili. Attaccando la Cina, l’India e persino l’Europa – “a cui viene permesso di continuare a costruire impianti a carbone” – Trump dice che “è tempo di uscire dall’accordo di Parigi e puntare a un nuovo accordo che protegge l’ambiente e il nostro Paese”. Come, non si sa. Con il carbone “pulito”, dice lui promettendo di rimanere leader sul fronte ambientale ma dicendo di volere fermare i finanziamenti al Green Climate Fund dell’Onu. Stando a calcoli da lui citati, con lo storico accordo di Parigi su cui Ue e Cina intendono unire ancora di più le forze l’economia Usa perderebbe oltre 3.000 miliardi di dollari di Pil nell’arco di decenni e 6,5 milioni di posti di lavoro nel settore industriale. Trump ha scelto di voltare le spalle agli alleati e capi d’azienda come quello di Apple che avevano fatto pressing accusandolo di ridurre il ruolo dell’America come leader globale e di ignorare le responsabilità dell’America stessa. “Gli Stati Uniti si uniscono alla piccola manciata di nazioni che rifiutano il futuro”. A dirlo è l’ex presidente americano, Barack Obama, che ha pubblicato un comunicato stampa durante il discorso con cui Donald Trump ha annunciato l’uscita degli Usa dall’accordo di Parigi sul clima. Obama è stato il politico che più ha lavorato e combattuto per arrivare alla firma del documento di Parigi.

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In una dichiarazione congiunta il presidente francese, Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco, Angela Merkel ed il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, hanno espresso “il rammarico per la scelta degli Usa di ritirarli dall’accordo universale sui cambiamenti climatici di Parigi che resta una pietra angolare nella collaborazione tra i nostri Paesi per affrontare efficacemente e tempestivamente i cambiamenti climatici e per attuare gli impegni previsti dalla Agenda 2030 sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile”. I tre leader sottolineano di “considerare la spinta generata a Parigi nel dicembre 2015 irreversibile e con fermezza crediamo che l’accordo di Parigi non possa essere rinegoziato (risposta negativa, quindi, all’auspicio del presidente Usa Donald Trump che si e’ detto disponibile a negoziare una nuova intesa, ndr) perche’ e’ uno strumento vitale per il nostro pianeta, la societa e le economie”. I tre leader europei si dicono “convinti che l’attuazione dell’accordo di Parigi offra sostanziali opportunita’ economiche per la prosperita’ e la crescita dei nostri Paesi e anche del globo. Pertanto riaffermiamo il nostro piu’ forte impegno di attuare rapidamente l’accordo di Parigi, inclusi i suoi obiettivi finanziari climatici e incoraggiamo tutti i nostri partner ad accelerare le loro azioni per combattere il cambiamento climatico. Rafforzeremo i nostri impegni per sostenere i Paesi in via di sviluppo, in particolare i piu’ poveri e i piu’ vulnerabili, nel riuscire a raggiungere i loro obiettivi”.

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COSA PREVEDE (il documento)

Aumento della temperatura entro i 2°. Alla conferenza sul clima che si è tenuta a Copenaghen nel 2009, i circa 200 paesi partecipanti si diedero l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale rispetto ai valori dell’era preindustriale. L’accordo di Parigi stabilisce che questo rialzo va contenuto “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi”, sforzandosi di fermarsi a +1,5°. Per centrare l’obiettivo, le emissioni devono cominciare a calare dal 2020.

Consenso globale. A differenza di sei anni fa, quando l’accordo si era arenato, questa volta ha aderito tutto il mondo, compresi i quattro più grandi inquinatori: oltre all’Europa, anche la Cina, l’India e gli Stati Uniti si sono impegnati a tagliare le emissioni.

Controlli ogni cinque anni. Il testo prevede un processo di revisione degli obiettivi che dovrà svolgersi ogni cinque anni. Ma già nel 2018 si chiederà agli stati di aumentare i tagli delle emissioni, così da arrivare pronti al 2020. Il primo controllo quinquennale sarà quindi nel 2023 e poi a seguire.

Fondi per l’energia pulita. I paesi di vecchia industrializzazione erogheranno cento miliardi all’anno (dal 2020) per diffondere in tutto il mondo le tecnologie verdi e decarbonizzare l’economia. Un nuovo obiettivo finanziario sarà fissato al più tardi nel 2025. Potranno contribuire anche fondi e investitori privati.

Rimborsi ai paesi più esposti. L’accordo dà il via a un meccanismo di rimborsi per compensare le perdite finanziarie causate dai cambiamenti climatici nei paesi più vulnerabili geograficamente, che spesso sono anche i più poveri.

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Partenza troppo prorogata. Secondo molti è rischioso stabilire nel 2018-2023 la prima revisione degli obiettivi nazionali sulla quantità di emissioni: se infatti il mondo continua a inquinare come sempre per altri tre anni, a quel punto sarà impossibile raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

Nessuna data per l’azzeramento delle emissioni. Non è stato fissato un calendario che porti alla progressiva, ma totale, sostituzione delle fonti energetiche fossili. La richiesta degli ambientalisti era quella di arrivare a una riduzione del 70 per cento rispetto ai livelli attuali intorno al 2050, e raggiungere le emissioni zero nel decennio successivo.

Potere ai produttori di petrolio. I produttori di petrolio e gas – tanto le imprese quanto i paesi – si sono opposti e hanno ottenuto che non si specificasse una data per la decarbonizzazione dell’economia.

I controlli saranno autocertificati. I paesi più industrializzati volevano che fossero gli organismi internazionali a controllare se ogni paese rispetta le sue quote di emissioni; gli emergenti (soprattutto la Cina) hanno chiesto e ottenuto, invece, che ogni stato verifichi le sue.

Nessun intervento su aerei e navi. Le emissioni di un volo tra Pechino e Roma, per esempio, sono per definizione internazionali e nessun paese vuole conteggiarle tra le sue. È per questo, ma anche per il potere delle compagnie, che ancora una volta i gas di scarico di aerei e navi sfuggono a ogni controllo.

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